LA RISPOSTA della presidenza Macron comincia dunque a delinearsi, non prendendo affatto la via del dialogo politico e della riforma della polizia, come invocato da movimenti, associazioni e partiti di sinistra, ma dirigendosi a grandi passi verso una stretta repressiva. Tant’è che la prima ministra Élisabeth Borne ha annunciato l’impiego dei blindati della Gendarmerie, che vanno ad aggiungersi alla mobilitazione dei reparti «d’élite» della polizia – come Raid, Bric o Gign – già inviati a sedare le proteste.

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IL PUGNO DI FERRO si è materializzato anche nelle parole scelte per accompagnare l’escalation. Ieri, al termine di una riunione della «cellula di crisi» del governo, Macron ha dichiarato che gli scontri di queste notti sono dovuti alla «strumentalizzazione inaccettabile della morte di un adolescente» a opera di gruppetti di giovani dipendenti dai social network. Questi condurrebbero a «una forma di uscita dal reale» durante la quale i giovani vivrebbero «nella strada i videogiochi con i quali si sono intossicati».

«QUANDO accendi un fuoco, non puoi dire che è colpa del fiammifero», canta il rapper francese Médine: raramente un verso rap ha così ben descritto la reazione di un governo di fronte all’esplosione della collera sociale. Mentre le parole del presidente si concentrano sugli zolfanelli, infatti, l’incendio divampa e la comunicazione governativa non sembra essere in grado di arginarlo. Così, notte dopo notte, alimentate da una presenza della polizia sempre più invadente, le fiamme lambiscono nuovi picchi e territori. Nella notte tra giovedì e venerdì, un uomo è morto nella Guyana francese, ucciso da un colpo di pistola sparato dalla polizia in circostanze ancora da chiarire. Venerdì sera, a Aubervilliers (periferia parigina) è andato a fuoco il cantiere di una piscina d’allenamento per i giochi olimpici del 2024. Nel frattempo, dei ragazzi saccheggiavano diversi negozi più o meno di lusso nella centralissima rue de Rivoli, a due passi dal Louvre.

A MARSIGLIA il sindaco ha deplorato l’incendio di 156 bidoni della spazzatura; a Lione le carcasse di bus e macchine dati alle fiamme costellavano le strade al mattino; a Lilla qualcuno ha incendiato una scuola; in Nouvelle-Aquitaine, la regione di Bordeaux, Le Monde ha enumerato almeno cinque commissariati bruciati: uno «totalmente»; due bersagliati da molotov; altri due «degradati» da automobili utilizzate come «arieti incendiari». Persino a Bruxelles ci sono stati scontri e, proprio mentre scriviamo, la stampa locale riporta che un uomo sarebbe «in fin di vita» in seguito all’utilizzo di pallottole di gomma da parte del Raid in un paesino nell’est della Francia giovedì sera. Un’altra persona è deceduta, sempre giovedì, nella periferia di Rouen dopo essere caduta dal tetto di un negozio in circostanze da chiarire. Nella sola notte tra giovedì e venerdì sono stati arrestati 875 manifestanti dei quali 408 nella regione di Parigi. Lo fa sapere il Ministero degli interni. Circa un terzo del totale sarebbero minori, secondo una nota dei servizi.

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IERI L’ONU ha chiesto alla Francia di «occuparsi» seriamente dei «profondi problemi di razzismo e discriminazione» che riguardano la sua polizia. L’agente che ha ucciso Nahel, intanto, è stato piazzato in detenzione provvisoria – fatto rarissimo, che ha suscitato l’immediata indignazione di Alliance Police Nationale, il sindacato di polizia più grande del paese. In un comunicato diffuso ieri, Alliance ha denunciato l’arresto dell’agente come una pura e semplice sottomissione al «diktat» imposto da «minoranze violente», vere e proprie «orde selvagge». Il comunicato sostiene che i poliziotti oggi sono in guerra, mentre «domani entreremo in resistenza e il governo dovrà prenderne atto». Un linguaggio quasi eversivo rivelatore dello spirito violento che anima una parte della polizia francese.

DI FRONTE ALLA RETORICA delle forze di polizia e alle accuse di mollezza delle destre, la prima ministra Borne non ha escluso di fare appello allo stato d’emergenza. Una parola che riporta alla mente le sommosse del 2005, quando le periferie francesi bruciarono per oltre un mese in seguito alla morte di due minorenni, Zyed e Bouna, nella banlieue parigina. La grande differenza, come sottolineato dal sociologo del Cnrs Fabien Jobard alla Tv francese, è tuttavia «il clima politico che circonda la rivolta». Da allora, come hanno spiegato sul manifesto di ieri Mathieu Rigouste e Louisa Yousfi, la sinistra della Nupes (e in particolare la France Insoumise), i movimenti e i sindacati sono molto più determinati a denunciare le violenze della polizia, rivendicare una riforma radicale di questa istituzione, senza per questo dissociarsi dalla rivolta in corso.

A DIFFERENZA DI MACRON – che tira in ballo videogiochi, blindati e forze speciali – una parte della società francese, grazie al lavoro dei movimenti antirazzisti, sembra oggi capace di riconoscere una certa «legittimità» alla rabbia che si esprime in questi giorni. Un sentimento ben espresso dall’antropologo Éric Fassin su Libération: «se la legge permette alle forze dell’ordine di utilizzare le loro armi da fuoco senza obbligo di legittima difesa, allora la società, almeno, deve riconoscere in memoria delle vittime il diritto a una legittima collera».

* Fonte/autore: Filippo Ortona, il manifesto