Svimez: sono tre milioni i lavoratori poveri

Svimez: sono tre milioni i lavoratori poveri

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Anticipazione dei dati Svimez del 2023: Un milione vive al Sud dove il lavoro povero ha raggiunto livelli patologici. Uno su quattro è precario da più di cinque anni Al Pnrr restano affidate molte, e incerte, speranze. I dati incendiano il conflitto sulla proposta di una legge sul salario minimo che non vedrà la luce

 

Tre milioni di lavoratori guadagnano meno di nove euro all’ora lordi in Italia. Un milione circa vive nel Mezzogiorno, gli altri quasi due milioni nelle regioni del Centro-Nord. A Sud, il lavoro a termine è una regola patologica, soprattutto se confrontato con il resto del paese e le medie europee. Quasi un lavoratore a termine su quattro è occupato a termine da più di cinque anni, quasi il doppio rispetto al centro e soprattutto al Nord. La condizione dei lavoratori poveri è peggiorata a causa dell’inflazione che ha taglieggiato i magri salari, in assenza di tutele universalistiche, oltre che di una contrattazione nazionale dalla quale questi lavoratori restano in gran parte esclusi. La stima si basa su un’indagine effettuata a partire dai micro-dati sulla forza lavoro prodotti dall’Istat e aggiornati al 2020, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati sulle retribuzioni disaggregati a livello territoriale. Sono stati resi noti ieri da Svimez nel rapporto 2023 sull’economia e la società del Mezzogiorno.

L’OCSE HA CONFERMATO che, dopo la pandemia del Covid, i salari reali italiani hanno subito una contrazione ancor più pronunciata (-7,5% contro -2,2% della media dei paesi Ocse). In Italia, la perdita di potere d’acquisto ha interessato soprattutto il Mezzogiorno (-8,4%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi. Per Svimez l’inflazione, iniziata un anno e mezzo fa e destinata a durare almeno fino al 2025, ha peggiorato le condizioni salariali in cui operano i lavoratori poveri.

MENTRE LE RETRIBUZIONI lorde reali mostrano una tendenza sostanzialmente stagnante nel Centro-Nord tra il 2008 e il 2019, al Sud sono decisamente in calo. Se nel 2022 erano di tre punti più basse nel Centro-Nord rispetto al 2008, nel Mezzogiorno erano di ben dodici punti inferiori. Dunque le conseguenze delle numerose crisi che si sono succedute negli ultimi 15 anni si stanno accumulando e hanno iniziato a colpire i livelli più bassi del lavoro povero. E finiranno che inghiottire anche quelli superiori del ceto medio impoverito, perlopiù protetto all’interno del lavoro dipendente.

QUESTA VALUTAZIONE è entrata nel turbine sul salario minimo in cui si intrattengono in questi giorni la maggioranza che non intende introdurre il salario minimo preferendo rimedi fuorvianti come il taglio al cuneo fiscale e le opposizioni che hanno presentato una proposta di legge sul salario minimo che sarà respinta in commissione lavoro alla Camera. «Il 25% dei lavoratori dipendenti sotto i nove euro si trova al Sud – ha osservato Marco Sarracino, responsabile Pd per la Coesione territoriale- Se il salario medio per un under 35 è 850 euro al mese, come si fa a creare una famiglia, accendere un mutuo? Basterebbero 2.8 miliardi di euro per portare in Italia tutte le retribuzioni ad un minimo di 9 euro l’ora e fare come fanno gli altri paesi europei. Ma noi abbiamo il governo Meloni che parla di “pace fiscale” e condanna 3 milioni di persone a essere più precarie ancora». Per l’ex ministra per il Sud, Mara Carfagna (oggi in Azione) «dal rapporto Svimez emergono due dati choc, che il governo dovrebbe affrontare subito come autentiche emergenze: quello sul lavoro povero e precario e quello sulla fuga dei laureati: 460 mila tra il 2001 e il 2021».

SVIMEZ HA REGISTRATO un sostenuto aumento dell’occupazione a tempo indeterminato nel Sud, come nel resto del paese. Va ricordato che dopo il Jobs Act di Renzi e del Pd il «tempo indeterminato» non è più quello pre-2015. E comunque, il lavoro prodotto è povero, con bassi salari. La sua mobilità risente di una ripresa basata su una crescita del Pil più alta rispetto a quella degli altri paesi. Probabilmente questa è la coda lunga di un rimbalzo avvenuto dopo il crollo più devastante. L’Italia, infatti, è il paese che ha perso di più in termini di Pil a causa del Covid (-8,9% nel 2020). Nel biennio 2021-2022, l’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7% più che compensando la perdita del 2020 (-8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita del 2021-2022 è stata superiore (+11%). Se il Pnrr fosse a pieno regime, e non lo è, il Pil del Sud potrebbe segnare nel 2023 una crescita dell’1,4% e quello del Centro-Nord un aumento dell’1,6% del Pil.

SODDISFAZIONE è stata espressa da Svimez per la «Zona economica speciale» (Zes) adottata in tutto il Sud nell’ambito del Pnrr. Tradizionale richiesta di politica industriale da parte di questo istituto di ricerca. Per Adriano Giannola, presidente Svimez, andrebbe « interpretata articolatamente e governata». Per il ministro al Pnrr Raffaele Fitto arriverà. È in corso l’ennesimo confronto con Bruxelles per rendere strutturale la decontribuzione. E ha annunciato «provvedimenti organici» sui fondi europei in collaborazione con Svimez .

* Fonte/autore: Mario Pierro, il manifesto



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