MENTRE le amministrazioni del governo del regno alawita sono alle prese con il conteggio febbrile di vittime, dispersi e danni strutturali al patrimonio immobiliare e architettonico, una riflessione importante investe già da ora il futuro della popolazione direttamente colpita dal sisma. Quali aiuti saranno messi in campo a livello nazionale per la popolazione? Sarà capace la monarchia di ascoltare le innumerevoli richieste che verranno mosse dalle vittime delle aree interne?

Una delle prime questioni che vengono sollevate in seguito ad eventi sismici mortiferi è se si sarebbe potuto prevedere, se si sarebbe potuto costruire diversamente per mettere in sicurezza gli abitanti, se l’eventualità sismica sia inserita nelle priorità costruttive di determinate regioni.

INNANZITUTTO bisogna tenere in conto che in Marocco l’apparato statale ha rinunciato da diverso tempo di agire direttamente come promotore immobiliare, ad esempio per quello che compete l’edilizia popolare. L’affare è riservato a investitori privati che godono di fondi pubblici di investimento con l’obiettivo di favorire l’accesso alla proprietà privata per i nuclei famigliari con bassi redditi.

Un’importante politica abitativa è stata dispiegata negli ultimi 20 anni, soprattutto nei più congestionati centri urbani del regno, con l’obiettivo annunciato di rinnovare l’offerta abitativa e renderla più inclusiva. In un’agenda politica sempre più impregnata da tematiche ambientali, quella del sisma pareva sembrare un’eventualità remota.

Il Marocco è caratterizzato da un apparato immobiliare vetusto: secondo i dati ufficiali dell’ultimo censimento realizzato nel 2014, sull’insieme del territorio nazionale più del 20% dell’abitato data almeno di cinquanta anni, dato che supera il 30% nelle zone rurali. Ma chiaramente non sarebbe solo questo un fattore di rischio per la resistenza sismica degli immobili: habitat precario, insalubre e edilizia informale giocano un ruolo preponderante.

SE DA UN LATO la regione di Marrakech-Safi può vantare una predominanza architettonica di “case tradizionali” di tipo ryad (circa il 13% ) e di forme di architettura moderna i cui edifici non superano quasi mai i 2-3 piani (fattore che aumenterebbe la stabilità degli immobili), dall’altro lato la precarietà abitativa investe un numero ingente di nuclei famigliari. In questa regione il 4% della popolazione risulterebbe residente in bidonvilles: agglomerati urbani e periurbani contraddistinti da abitazioni autocostruite, spesso con materiali di recupero, al di fuori di autorizzazioni edilizie e non coperte da opere di urbanizzazione primaria.

Accanto a questi agglomerati, il cosiddetto habitat informel raggiunge cifre di gran lunga superiori. Si tratta cioè di quell’edilizia abusiva che pur utilizzando materiali adeguati e rispettando determinati canoni architettonici, non risulta validata all’interno di piani urbanistici, e quindi magari in aree non bonificate o non edificabili per ragioni geologiche.

TUTTE QUESTE considerazioni relative allo stato degli alloggi in Marocco diventa pregnante qualora delle misure sociali potrebbero essere stabilite. Laddove risulterà difficile rinvenire al luogo di residenza di un individuo, poiché abitante di agglomerati abusivi o di baraccopoli autocostruite, ancora più complesso potrebbe risultare l’attribuzione di aiuti alla ricostruzione o per l’accesso ad un alloggio nuovo. Inutile pensare di poter ricorrere ad assicurazioni private contro danni causati da catastrofi ambientali, pratica liminale in quella parte di società marocchina fortemente disuguale e con basse garanzie di credito.

AL DI LÀ di queste considerazioni di natura tecnica, bisogna inoltre considerare che i problemi più ingenti emergeranno a causa di un sistema sanitario fallace, una rete viaria rarefatta, soprattutto nelle aree interne rurali di montagna poco adatta al trasmissione rapida di soccorsi, e l’assenza assordante di misure efficienti di welfare.

Il tristemente noto isolamento delle aree interne, vivido nel vissuto dei suoi abitanti in materia di educazione, sanità e trasporti, emergerà ancora più violentemente in Marocco a seguito di questa situazione catastrofica. Sarà forse l’occasione per la monarchia per recuperare terreno su investimenti da rendere prioritari per queste aree, mettendo magari momentaneamente da parte la corsa folle all’arricchimento dell’offerta turistica e infrastrutturale della città portuali e costiere (vedi la linea ferroviaria ad alta velocità inaugurata nel 2020 tra Casablanca e Tangeri) e dedicare maggiore attenzione alle necessità della popolazione rurale, già schiacciata dalla penuria di risorse idriche, l’avanzata della desertificazione dell’ecosistema e altre problematiche relative al troppo volte citato riscaldamento climatico.

Si attende quindi con apprensione una presa di posizione e un’iniziativa socio-umanitaria da parte del sovrano, che per ora ha dispiegato le forze armate reali per raggiungere e soccorrere le zone disastrate.

* Fonte/autore: Laura Guarino, il manifesto