Sono volte anche ad impedire all’Amministrazione Biden di imporre il ritorno della debole e priva di consenso Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen al governo della Striscia. Qualche giorno fa si è saputo di un progetto, molto gradito all’estrema destra e ai leader dei coloni, per favorire il «reinsediamento volontario» dei palestinesi di Gaza in Africa e in vari paesi del mondo. Ne hanno parlato Times of Israel e Canale 12. Ieri sera il gabinetto di guerra, secondo alcune fonti, avrebbe discusso anche di una proposta per dividere Gaza in piccoli settori governati da clan familiari locali. Secondo un giornalista di Kan, la tv pubblica, «Ogni tribù avrà un accordo con Israele, sulla base del quale riceverà gli aiuti umanitari che arriveranno dall’Egitto. Israele si aspetta che le tribù siano responsabili della gestione della vita civile (di Gaza)».

L’esercito comunque non uscirebbe dalla Striscia per occuparsi «della sicurezza». Una soluzione che, sempre secondo Kan, potrebbe estendersi in futuro anche alla Cisgiordania, sempre con il fine di rimuovere dalla scena l’Anp e Abu Mazen, riferimento politico dei governi occidentali e degli Usa. «Non ha senso parlare dell’Anp come parte della gestione di Gaza finché non avrà un cambiamento radicale che prima dovrà dimostrare in Cisgiordania», ha ripetuto Netanyahu di fronte alla Commissione affari Esteri e Difesa della Knesset.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Il Sudafrica «avvocato del diavolo» alla Corte internazionale: Israele genocida

Prima della riunione del gabinetto di guerra, in una apparente concessione agli Usa e in anticipo sull’arrivo nella regione del segretario di stato Antony Blinken, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto che a governare saranno palestinesi che vivono a Gaza «a condizione che non siano ostili verso Israele e non agiscano contro di esso». A scanso di equivoci, i rappresentanti delle famiglie più grandi e importanti di Gaza hanno fatto sapere che loro non si presteranno mai alla realizzazione di questo progetto. Israele, ci diceva ieri un giornalista nel sud della Striscia, «pensa che i palestinesi di Gaza, in gravi condizioni nelle tendopoli, siano ora disposti a servire i suoi interessi, ma si sbaglia. Inoltre, dopo tre mesi di guerra Hamas non è affatto sconfitto, mantiene buone capacità di controllo e non permetterà mai questa soluzione». I civili di Gaza, nel frattempo, fanno i conti con la guerra.

I bombardamenti israeliani ieri hanno ucciso 14 palestinesi a Khan Younis, tra cui nove bambini, secondo testimoni citati da media locali. Aerei e carri armati hanno colpito tre campi profughi nel centro di Gaza – cinque i morti a Nusseirat – accelerando la fuga di migliaia di civili a sud, verso Rafah dove sono ammassato centinaia di migliaia di sfollati. Ad Al Mawasi, ha riferito il ministero della sanità, nove bambini e cinque adulti sono stati uccisi da una bomba caduta vicino a tende erette dagli sfollati. Il calo apparente dell’intensità del conflitto non deve ingannare.

Gli esperti spiegano che le aree sulle quali si concentra l’offensiva sono limitate ma ad alta tensione, la più presa di mira resta Khan Yunis, e le truppe israeliane si avventurano tra le macerie per «stanare Hamas» solo se in condizioni di elevata sicurezza. E riescono ad ottenerla con raid aerei sugli obiettivi indicati. Appena i soldati scorgono combattenti di Hamas, chiedono l’intervento dell’aviazione che lancia subito attacchi devastanti in quella zona. Ciò spiegherebbe l’elevato numero di vittime palestinesi, in gran parte civili, che si continua a registrare ogni giorno (sono 22.438 dal 7 ottobre). Una tattica di guerra conseguenza delle perdite significative – oltre 170 soldati uccisi sino ad oggi – che Hamas provoca ai reparti militari israeliani. I civili palestinesi tornano a denunciare esecuzioni sommarie compiute dall’esercito israeliano.

La giornalista di Gaza Maha Husseini, del portale Middle East Eye (Mee) ha raccolto le dichiarazioni di scampati alla morte. Uno di questi Moemen Raed al Khaldi, ferito il 21 dicembre, è rimasto immobile tra i cadaveri dei suoi familiari fingendo di essere morto per proteggersi dagli spari dei soldati israeliani che avevano sparato a tutti i presenti nella sua abitazione. «I soldati non parlavano arabo – ha raccontato – nessuno di noi parlava ebraico e non capivamo cosa dicessero. Allora mio nonno ha provato a tradurre. Ha detto solo poche parole: ‘Ascolta quello che ti dicono i soldati e vai fuori’. I soldati si sono voltati e hanno pensato che fosse stato mio padre a parlare. Gli hanno sparato ed è morto subito. Poi hanno sparato a tutti gli altri presenti nella stanza». Kamel Mohammed Nofal, 65 anni, un pensionato dell’Unrwa (Onu), è stato ucciso «mentre cercava di spiegare (ai soldati) che i suoi figli non riuscivano a capire le loro istruzioni», ha riferito un suo parente, Jamal Naim.

In Cisgiordania è continuato ieri il lutto per l’assassinio di Saleh Aruri, il numero due di Hamas, compiuto in Libano dal Mossad (Israele non conferma e non smentisce). A Beirut migliaia di persone hanno partecipato ai funerali del leader del movimento islamico, sepolto nel campo profughi di Chatila,  che Hezbollah ha promesso di vendicare. Sul confine i combattenti del gruppo sciita hanno colpito postazioni di Israele che da parte sua ha bombardato Marun a-Ras e altre località libanesi. In Cisgiordania, l’esercito israeliano ha demolito tre case e arrestato circa 300 uomini nel campo profughi di Nur Shams (Tulkarem), teatro delle sue incursioni nei centri abitati dell’altro territorio palestinese sotto occupazione militare. Dal 7 ottobre in Cisgiordania sono stati uccisi oltre 320 palestinesi e arrestati altre migliaia.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto