Tempi e controtempi della criminologia critica. Ricordando Vincenzo Ruggiero

Tempi e controtempi della criminologia critica. Ricordando Vincenzo Ruggiero

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Vincenzo Ruggiero, uno dei più importanti criminologi critici internazionali, è scomparso all’improvviso nella notte tra il 2 e il 3 febbraio. Approdò alla criminologia critica per provare a trovare risposte alla cosiddetta epoca delle emergenze

 

Ci fu un tempo, cronologicamente vicino ma politicamente lontano, pieno e tumultuoso. Un’epoca in cui, come diceva Giorgio Gaber, venne la voglia di rompere tutto. Di frantumare le certezze, gli equilibri e gli apparati su cui si reggeva una società che si pretendeva opulenta, del benessere, ma tra le cui pieghe allignavano sessismo, razzismo, sfruttamento, pulsioni autoritarie. Rompere tutto per costruire nuove conoscenze, nuove pratiche, nuovi strumenti di lettura e di produzione della realtà. Per farlo, bisognava mettere in gioco anche, se non principalmente, la propria individualità.

Da questo tempo nacque la criminologia critica, a cui facciamo riferimento. In questo tempo si fece strada la figura di Vincenzo Ruggiero, uno dei più importanti criminologi critici internazionali, scomparso all’improvviso nella notte tra il 2 e il 3 febbraio scorsi. Vincenzo rappresenta una figura paradigmatica: di origine napoletana, emigrato al nord, all’inizio insegnante e militante, proveniente da studi tecnici e poi letterari, approdò alla criminologia critica per provare a trovare risposte alla cosiddetta epoca delle emergenze, che sancì il riflusso seguito all’ebbrezza post-68 e sigillò una stagione di lotte e di speranze come un periodo di fanatismi e violenze, appiccicandole l’etichetta di “anni di piombo”. Anche per questo Ruggiero scelse di prendere la strada dell’esodo, come si teorizzava in quegli anni, mutando la sua militanza in una produzione vasta, articolata e ricca di spunti di criminologia critica, che gli valse riconoscimenti internazionali, andando a lavorare e vivere in Inghilterra.

Sono almeno cinque i filoni di ricerca all’interno dei quali si è sviluppata la produzione teorica di Vincenzo Ruggiero. La prima, quella del carcere, che lo portò ad essere un sostenitore dell’abolizionismo, nacque in relazione alla repressione statuale delle lotte degli anni Settanta, che sfociò nella creazione delle carceri speciali e della legislazione premiale. Un ambito che nel corso degli anni costituiva un vero e proprio fiume carsico, che periodicamente riaffiorava nei suoi lavori, rappresentando però il filo conduttore del suo discorso, nella misura in cui l’uso della risorsa penale abbracciava altri ambiti della criminalizzazione del dissenso politico e dei gruppi sociali subalterni.

Tuttavia, la reputazione accademica di Vincenzo crebbe, in particolare a livello internazionale, a partire dalla pubblicazione di La Roba. Economia e cultura dell’eroina a Torino e a Londra (1982), un libro che tutti gli aspiranti criminologici critici dovrebbero leggere, non soltanto per le riflessioni sviluppate, la descrizione del fenomeno e l’originalità metodologica, ma anche per lo stile espositivo. Perché uno dei pregi di Ruggiero era quello di veicolare concetti articolati attraverso una prosa mai retorica, scevra da formule concettuali sofisticate e oscure, fino quasi a farla sembrare un’opera letteraria e a invogliarne la rilettura.

Soprattutto, a Vincenzo dobbiamo una riparametrazione concettuale rispetto alla criminologia, sia rispetto al suo oggetto, sia rispetto ai crimini dei colletti bianchi. Sul primo versante, la sua anti-criminologia, come la definì, rappresenta una riparametrazione radicale di quello che dovrebbe essere l’oggetto della criminologia. In particolare, Ruggiero, nei suoi lavori, partiva dal presupposto che la nostra disciplina denota un difetto congenito, ovvero quello di concentrarsi sui deficit, materiali, cognitivi e relazionali, che affliggerebbero gli individui e i gruppi etichettati come criminali. Si tratta di un’impostazione preconcetta, asfittica, a partire dalla quale si costruisce l’attenzione costante del sistema giudiziario-penale verso sempre le stesse figure, ovvero operai, disoccupati, donne, minoranze etniche, LGBTQIA+, migranti. Si rende perciò necessario un rovesciamento del punto di vista.

Al contrario, i potenti, ovvero i detentori di quote sproporzionatamente consistenti di potere politico ed economico, dispongono di abbondanza materiale, di robuste reti di conoscenze e sostegno reciproco, di istruzione e di persone in grado di curare eventuali patologie. Eppure, se non soprattutto, anche loro delinquono, commettendo crimini che spesso si caratterizzano per la loro atrocità, come i crimini di guerra, o per il depauperamento di risorse che, se fossero dirottate dal privato al pubblico, dall’individuale al collettivo, potrebbero ridurre sensibilmente i crimini da deficit.

L’attenzione del lavoro di Vincenzo Ruggiero verso i potenti permette così di asciugare la coltre di moralismo che circonda altri ambiti della criminologia, quali lo studio delle mafie o quello della corruzione economica e politica. Economie sporche, del 1996, rappresenta un lavoro che meriterebbe maggiore attenzione da parte degli stakeholders: non solo accademici, ma anche membri di ONG e personale politico.

Vincenzo mostrò con accuratezza come non esiste affatto una dicotomia radicale tra settori “puliti” e “sporchi” nel mondo economico. Innanzitutto, perché, per quanto illegali siano i beni e i servizi forniti dalle economiche sporche, si alimentano della domanda dei settori puliti. Non solo nel caso delle sostanze psicotrope, del gioco d’azzardo e dell’industria del sesso, ma anche sul versante dello smaltimento dei rifiuti tossici, del caporalato, del riciclaggio, della sofisticazione alimentare. Ma anche perché, i proventi dei settori illegali, finiscono sempre per essere immessi nei circuiti economico-finanziari ufficiali, alimentando così la macchina del profitto neoliberale. Infine, perché la struttura organizzativa delle organizzazioni criminali ricalca quella delle holding multinazionali o quella degli stati. La retorica anti-corruzione, quindi, finisce per essere un puro orpello ideologico, che elude i problemi reali dell’accumulazione capitalista.

Last but not least, proprio gli attori politici e i cosiddetti crimini di Stato hanno costituito un altro ambito cruciale delle opere di Ruggiero. In merito alla violenza politica, il concetto di clonazione del nemico rappresenta un altro prezioso strumento di lavoro, da tenere nella cassetta degli attrezzi del criminologo critico. Partendo dal presupposto che la violenza politica nasce sempre in dialettica con lo Stato, e col modo in cui previene o reprime il dissenso, Vincenzo mostrò come le organizzazioni terroristiche spesso riproducono il modello statale, sia nella misura in cui esercitano potere, sia quando, soprattutto, devono il loro sviluppo al sostegno degli Stati. È il caso di Al Qaeda, sostenuto indirettamente dagli USA e direttamente dal Pakistan, che ha finito per essere responsabile, dall’11 settembre 2001 in poi, di efferati atti terroristici. O dei gruppi fondamentalisti musulmani in generale, che negli anni 70, sia i regimi baathisti, sia le potenze occidentali, tolleravano e talvolta appoggiavano esplicitamente in chiave anticomunista. La violenza politica, quindi, si regge su di una trama di potere che, come nel caso delle economie sporche, tiene insieme il livello legittimo con quello eversivo. Anche per questo Ruggiero criticava chi cercava di dimostrare l’esistenza di una Spectre mafio-terrorista di portata mondiale. I gruppi eversivi, ci spiegava, potranno pure operare occasionalmente e funzionalmente con le organizzazioni criminali, ma vi competono per il controllo del territorio, e sono animati da motivi ideologici.

Analisi profonde, originali, che meriterebbero una maggiore considerazione al di fuori dell’ambito della criminologia critica. Considerazioni controtempo, necessarie però a mettere in discussione questo eterno presente che, da quarant’anni, non si riesce a scardinare. E che da oggi, senza Vincenzo Ruggiero, diventa anche più vuoto. Ci mancherai, Vincenzo. Possiamo solo prometterti che continueremo per le tue strade. Ciao.

* Fonte: Vincenzo Scalia, Studi sulla questione criminale



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