Nato, slitta l’accordo sul comando I turchi partecipano al blocco navale.

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BRUXELLES – Tre ore di sessione la mattina, poi ancora più di quattro ore di discussione «informale» nel pomeriggio, a porte chiuse e riservata ai soli ambasciatori. Nonostante gli sforzi, il Consiglio Atlantico non è riuscito ieri a mettersi d’accordo sulle modalità  con cui la Nato dovrà  assumere il comando delle operazioni aeree in Libia. I tempi si stanno facendo ormai stretti, visto che gli americani vorrebbero passare la responsabilità  del coordinamento agli alleati entro la fine della settimana. L’unica decisione che è ormai diventata operativa sotto il cappello dell’Alleanza atlantica è il blocco navale che dovrà  garantire l’embargo dichiarato dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea. L’operazione, battezzata Unified Protector sarà  affidata al comando Nato di Napoli, guidato dal contrammiraglio italiano Rinaldo Veri, e disporrà  di una flotta assai potente: oltre alla Garibaldi, vi partecipano dieci fregate, tre sottomarini e due navi ausiliarie. Ma il fatto politicamente più rilevante è che all’operazione partecipa massicciamente anche la marina turca, che ha messo a disposizione quattro fregate e un sommergibile. Mentre la Germania, dunque, ritira dal Mediterraneo tutte le navi che operavano sotto la bandiera Nato, per evitare che militari tedeschi siano in qualche modo coinvolti nelle operazioni contro Gheddafi, il premier turco Erdogan, dopo aver parlato con Bush, ha deciso di accettare un ruolo dell’Alleanza Atlantica e ha messo a disposizione i propri mezzi. Ma il fatto che la Turchia, almeno in linea di principio, abbia tolto il veto ad un coinvolgimento della Nato, così come avrebbe fatto la Francia, non risolve i problemi degli alleati, come dimostra la lunga e infruttuosa riunione di ieri. Per definire le modalità  dell’intervento Nato, infatti, ci dovrebbe essere accordo sulla sostanza delle operazioni militari consentite in esecuzione della risoluzione 1973. E proprio su questo punto le opinioni sono quanto mai divise. La Francia, ma anche la Gran Bretagna e in buona misura gli Stati Uniti, è convinta che l’impiego di «tutti i mezzi necessari» per proteggere la popolazione civile comprenda anche i bombardamenti delle truppe di Gheddafi che attaccano gli insorti, la demolizione della loro catena di comando e la distruzione delle riserve logistiche necessarie a continuare gli attacchi. Altri vorrebbero limitare l’intervento alla imposizione di una no-fly zone, dopo che i missili americani hanno ormai spianato le difese antiaeree di Gheddafi. Infine la Turchia considera addirittura inaccettabile che la Nato assuma il comando anche solo della no-fly zone mentre sono in corso bombardamenti distruttivi da parte di altre potenze occidentali. Il comando militare dell’Alleanza ha messo a punto un ventaglio di piani, che vanno dal puro e semplice mantenimento della zona di interdizione aerea, ad una no-fly zone plus, che prevede anche l’attacco delle forze di terra di Gheddafi. Ma è chiaro che, se non c’è consenso sul da farsi, non può esserci neppure sul mandato da dare ai generali. Infine c’è il problema della direzione politica delle operazioni. Per alcuni Paesi, come l’Italia, l’intera catena di comando deve essere Nato, gestita a livello politico dal Consiglio Atlantico, con l’astensione dei Paesi che non partecipano e con una cabina di consultazione per i governi che non fanno parte dell’Alleanza, sul modello usato per l’Isaf in Afghanistan. Questa soluzione consentirebbe anche di evitare decisioni politicamente dietro lo schermo della volontà  collettiva dell’Alleanza. Per i francesi, invece, vista anche la disparità  delle sensibilità  politiche, la direzione politica delle operazioni deve essere esterna alla Nato, che a questo punto avrebbe solo un ruolo di coordinamento militare. Martedì a Londra ci sarà  una riunione dei ministri degli esteri dei governi che partecipano alla coalizione. Ma prima la Nato dovrà  aver deciso i limiti e le responsabilità  della sua partecipazione.


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