Ok al federalismo regionale decisiva l’astensione del Pd

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ROMA – La Bicameralina approva il federalismo regionale con l’astensione dei dieci membri del Partito democratico. A favore Pdl, Lega e Svp, per un totale di quindici voti. Dicono no invece l’Udc e il Terzo polo che potevano contare su cinque voti. La scelta del partito di Bersani ha così evitato il bis del voto sul federalismo municipale, quando il pareggio in commissione costrinse il governo ad un passaggio parlamentare alla Camera e al Senato. La decisione che ha fatto pendere l’ago della bilancia democratica verso l’astensione è stata l’approvazione della cosiddetta “clausola di salvaguardia”. Una norma che in pratica blocca l’avvio del federalismo in caso il governo sia inadempiente rispetto agli accordi che ha stretto con le Regioni. E l’esito positivo è arrivato proprio anche grazie al via libera della Conferenza delle Regioni che, grazie ad un emendamento ad hoc, avranno i 425 milioni per il trasporto pubblico che erano stati promessi a dicembre. I “governatori” hanno strappato anche altre concessioni fra cui due fondi, uno per i comuni e uno per le province, all’interno dei bilanci regionali. Una vittoria che “addolcisce” il giudizio dell’Anci e dell’Upi, le province, che in un primo momento avevano protestato perché le Regioni si vedevano restituire dei soldi e gli Enti locali no. Intanto, fra i “governatori”, almeno fra quelli di centrosinistra, è palese la soddisfazione per un risultato che, di fatto, smonta un pezzo di manovra economica di Tremonti. La pensa così anche il democratico Walter Vitali: «Il governo si è impegnato in modo stringente a ripristinare le risorse antecedenti il taglio operato con la manovra economica del luglio scorso. Per noi questo significa che dovranno essere rivisti anche i tagli comuni». Dunque, conclude Vitali, siamo riusciti ad eliminare il rischio che con il federalismo arrivassero anche più tasse. Sono alcuni dei motivi che hanno indotto il Pd ad astenersi dopo una giornata di riunioni per decidere cosa fare. «Noi siamo gente seria, abbiamo presentato una mezza dozzina di emendamenti radicali che hanno corretto quel decreto, – ha spiegato alla fine Bersani – ma lancio un grido di allarme: andiamo di decreto in decreto. Ce n’è uno decente, quello di oggi. Altri pessimi, come quello sulla fiscalità  locale. Nell’insieme sta venendo fuori un albero storto». Per questo il leader del Pd invita «il governo a riflettere e fermarsi, correggere il decreto sulla fiscalità  locale, se no viene fuori un sistema in cui non ci si capirà  più niente». L’Udc, invece, invece continua a pensare che questo provvedimento penalizzerà  il sud del paese e aumenterà  la pressione fiscale. I centristi, per questo, esprimono «meraviglia che tutto ciò avvenga con il concorso del Pd che, per garantire un po’ di soldi alle regioni rosse che governa, si è piegato alla Lega». Il futurista Mario Baldassarri è lapidario: «Se questo è federalismo, io sono insieme Richard Gere e Brad Pitt». I leghisti esultano e incensano Bossi e Calderoli. Ma di federalismo parla anche Gianfranco Fini per dire due cose. La prima che è la riforma non funziona e non funzionerà  finché non ci sarà  la nascita del Senato delle Regioni o della Camera delle Autonomie. La seconda è che l’Italia non corre un rischio secessione. Piuttosto, spiega il presidente della Camera, «c’è il rischio di trovarsi in una situazione come quella del Belgio in cui non c’è una secessione ma non c’è neppure una coesione».


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