Damasco, il punto di vista cristiano

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E’ nel suo giardino Samira mentre prepara i dolci per la prossima Pasqua, sul viso la speranza che tra qualche settimana tutto “questo caos”, come lo chiama lei, possa essere finito.

“Vogliamo la pace, vogliamo vivere sereni”, dice Samira e inizia a raccontare la sua storia. Lei che a differenza di altri palestinesi ha potuto ottenere un passaporto siriano. “Sono nata qui perché i miei genitori si erano rifugiati prima in Libano e poi qui a Damasco, dopo la Nakba (proclamazione stato d’Israele ndr). Questo è il mio Paese e questa è la mia gente”, racconta tirando un sospiro che palesa la sua preoccupazione per la violenza che in questi giorni si è scatenata in tutto il paese come risposta alle manifestazioni che chiedono la fine del regime di Assad.

Assad ci garantisce la protezione. Siamo una minoranza in questo Paese e soltanto un regime laico può darci la libertà di professare la nostra religione”.

Chiedo a Samira se le rivendicazioni del suo popolo che chiede pane, libertà  e lavoro, non sono in un certo senso legittime. Fa fatica a rispondere. Ci pensa un po’ e poi dice: “E’ come essere dinanzi ad un bivio. Abbiamo paura. Siamo coscienti che il Paese ha bisogno di riforme, che il divario tra ricchi e poveri è aumentato moltissimo negli ultimi anni ma nello stesso tempo la caduta di Assad potrebbe dare un notevole peso politico ai movimenti integralisti islamici.”
“Quale potrebbe allora essere il nostro posto? Qui in questa antica città  che da sempre ci appartiene?”, interviene Umm Fuad, mentre prepara il caffè al cardamomo.

Il paragone con l’Iraq è inevitabile nelle discussioni con queste donne che qui a casa di Samira si sono tagliate un piccolo spazio di tranquillità  mentre la capitale è assediata e incute timore a chiunque.
L’arrivo di moltissimi cristiani iracheni in Siria dopo l’intervento statunitense nel Paese nel 2003 veniva ricordato come l’evento che aveva fatto salire il prezzo degli affitti a Damasco per la carenza di case.

Oggi è diverso. Questi rifugiati vengono evocati per testimoniare che un regime laico, che era pur quello di Saddam Hussein, aveva riaperto ‘un vaso di Pandora’, come ricordato da qualche ufficiale statunitense, dove il confessionalismo e poi l’islam politico ne era riuscito vittorioso.

Vogliamo restare qui, qui ho i miei figli, mio marito e qui un giorno che avrò i miei nipoti. Voglio continuare a vederli correre nei vicoli di questa città  vecchia”, si commuove Miriam mentre si allontana nei ricordi.

“Abbiamo paura di un nuovo Iraq , abbiamo paura che i partiti islamici possano estendere e rafforzare la loro influenza sulla popolazione. In questi anni abbiamo visto un aumento di donne vestite con burqa e adesso che il regime sta rilasciando molti islamisti che prima erano stati imprigionati come possiamo non aver paura?”, dice invece Nathalie.

Mentre le donne si abbandonano ai ricordi di una vita intera a duecento metri, nei pressi della Moschea degli Omayyidi, i giovani continuano a scandire “il popolo vuole la caduta del regime”.


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