Aborto. La fotografia sfuocata dei dati italiani

Aborto. La fotografia sfuocata dei dati italiani

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I rapporti ufficiali arrivano in ritardo e presentano numerose zone d’ombra. Tre anni dopo le nuove linee guida nelle Marche la Ru486 non è ancora disponibile

 

Parlare oggi di aborto è sempre come guardare una fotografia vecchia, scattata almeno due anni prima. L’ultimo documento ufficiale che si ha sulla legge 194 risale al 2022 ed è relativo al 2020. Già la distanza tra questi due numeri fa capire uno dei problemi principali: l’aggiornamento e la reperibilità dei dati. La Relazione annuale al Parlamento dice che nel 2020 sono state effettuate 66.413 interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg), confermando la diminuzione del fenomeno (-9,3% rispetto al 2019) dal 1983, anno in cui si ha avuto il valore più alto in Italia con 234.801 aborti. Ma l’indicatore più accurato è il tasso di abortività: 5,4 per 1.000 (con una riduzione del 6,7% rispetto al 2019). Da sottolineare che le cittadine straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte.

Secondo la relazione la diminuzione di Ivg non è dovuta al Covid-19. L’Iss ha fatto un’indagine apposita rilevando come l’aborto sia stato subito inserito tra le prestazioni indifferibili. Il calo è tradizionalmente imputato a una maggiore consapevolezza della contraccezione e al lavoro territoriale dei consultori (che rilascia il 43% dei certificati per l’aborto). E alla diffusione dei contraccettivi d’emergenza: dal 2015 non serve più prescrizione medica per la cosiddetta «pillola del giorno dopo» e dal 2020 anche per le minorenni.

Eppure il tasso di abortività italiano, tra i valori più bassi a livello internazionale, fa pensare ad altro. Spesso l’accesso all’Ivg non è facile. Persistono gli aborti clandestini (tra i 10mila e i 13mila, dato 2016) ed è costante il gran numero di obiettori (il 64,6% dei ginecologi nel 2020, il 67% nel 2019). In Molise sono due i medici non obiettori, in Puglia sono otto gli ospedali a obiezione totale (cosa che la legge impedisce), nelle Marche solo due centri su 17 garantiscono l’Ivg. L’obiezione poi non riguarda solo i ginecologi ma anche il personale medico, in contrasto a quanto dice l’articolo 9 della 194 (44,6% degli anestesisti e 36,2% del personale non medico). Su questi aspetti ci sono i buchi informativi maggiori: non si hanno i dati specifici sulle strutture e le regioni non li rendono disponibili come previsto invece dal codice dell’amministrazione digitale.

«Mai dati», un’indagine condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, è riuscita ad andare più a fondo scoprendo che 22 ospedali e quattro consultori hanno il 100% di obiezione fra ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e Oss, mentre altri 72 hanno percentuali dell’80%.

Nel 2020 poi, in ritardo rispetto a molti paesi europei, sono state aggiornate le linee guida per la Ru486, la pillola abortiva: utilizzo fino a nove settimane e in regime di day hospital in ospedali e consultori. Queste novità, però, non sono state recepite come sperato. Colpa anche dell’ostruzionismo politico di alcune regioni al documento ministeriale. Come nelle Marche a guida Fratelli d’Italia, dove la pillola non è ancora disponibile, vista come un aborto fai da te.

Nei consultori sedici regioni non la distribuiscono: come Piemonte e Liguria, dove nel frattempo giunte di destra aprono gli ospedali agli anti-choice con vari finanziamenti. Nel 2020 in Italia gli aborti farmacologici sono stati il 35,1%. In Francia il 66% e in Svezia il 95%.

* Fonte/autore: Rita Rapisardi,  il manifesto



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