L’inferno dei malati terminali “In troppi senza terapia del dolore”

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SONO ANCORA troppo pochi nel nostro paese i malati terminali che possono accedere a cure adeguate per alleviare la loro sofferenza. Spesso le famiglie vengono lasciate sole e non sanno a chi rivolgersi. A più di un anno di distanza dalla legge-quadro sulle cure palliative, che finalmente le definisce come un diritto del cittadino, la situazione è ancora critica. In attesa che faccia il suo effetto tramite i decreti attuativi, che la tradurranno in realtà  nelle varie regioni, ci sono ancora molti problemi.

L’INTERVISTA “Troppo spesso famiglie lasciate sole”

Oggi è più facile prescrivere farmaci oppioidi, ma il loro uso per la terapia del dolore cresce a rilento. E poi sono ancora molti i medici che hanno paura a prescrivere questi medicinali. In base ai dati dell’International Narcotics Board , tra il 2007 e il 2009 si sono impiegate in Italia 2.926 dosi al giorno di oppioidi per milione di abitanti. In Spagna, nello stesso periodo, se ne usavano 8.072 e in Germania 19.319.

A far luce sulla situazione nel nostro paese un’inchiesta di Altroconsumo svolta in Belgio, Spagna, Italia e Portogallo. Sono stati distribuiti migliaia di questionari a familiari di persone che hanno ricevuto cure palliative o di fine vita. Nell’indagine sono stati coinvolti oltre tremila medici. Se da un lato il 68 per cento dei familiari intervistati sostiene che il proprio caro abbia ricevuto almeno in parte questo tipo di cure, in base ai parametri più stringenti solo il 14% dei malati ha avuto “vere” cure palliative. Nonostante quasi l’80 per cento dei medici che hanno risposto affermi che la prescrizione di questi farmaci sia stata semplificata, l’84 per cento dice anche che il loro impiego non è ancora abbastanza diffuso.

Le attese e i luoghi.
Per ottenere le cure necessarie, in Italia si aspetta in media poco più di una settimana. Nel 17 per cento dei casi i parenti ritengono che l’aiuto sia arrivato troppo tardi. Il luogo principale dove il malato terminale viene curato è la casa (54 per cento, contro il 44 della Spagna e il 34 del Belgio), seguita dall’ospedale (28 volte su cento).

Chi ha ricevuto trattamenti in una struttura sanitaria ha avuto a disposizione una stanza singola nel 65 per cento dei casi. Quasi un malato su due è morto nel proprio letto. Il decesso è avvenuto in ospedale in un caso su tre e in una unità  di cure palliative nel 14 per cento dei casi. Il motivo principale per cui il malato è morto in ospedale, secondo medici e infermieri, è che la famiglia riteneva che le sue condizioni non gli consentissero più di rimanere a casa o non si reputava in grado di occuparsene, anche per mancanza di aiuti.

Le paure. La preoccupazione principale dei malati è diventare un peso per i familiari (35 per cento), seguita dalla paura di provare dolore (17 per cento). Esiste inoltre un indice che misura la qualità  degli ultimi giorni di vita, tenendo conto delle condizioni in cui si trova il malato. Dai questionari di Altronconsumo emerge per l’Italia un indice di 56/100, con un piccolo miglioramento rispetto all’inchiesta del 2006 (54/100). Su una scala da 1 a 5, medici e infermieri assegnano alle cure palliative un giudizio globale pari a 3,5, più alto rispetto al 2,9 attribuito alle cure di fine vita. Similarmente, l’85 per cento dei professionisti che hanno risposto all’inchiesta ritiene che le cure palliative siano migliorate rispetto a cinque anni fa. I familiari danno un giudizio globale di 3,4 alle cure palliative e di 3,1 alle cure di fine vita. Gli aspetti che risultano più carenti sono in entrambi i casi il sostegno psicologico e sociale.

La fase terminale. In 30 casi su cento, i pazienti in fase terminale o i loro parenti è arrivata a un punto in cui ha chiesto ai sanitari di non protrarre inutilmente la sofferenza. Il 57 per cento dei medici e degli infermieri ha ricevuto richieste di questo tipo e la causa più frequente era il dolore intollerabile, seguita dal sentimento di perdita di significato della vita. Quasi un parente su quattro inoltre sostiene che per il proprio caro sono state compiute azioni che ne hanno accelerato la fine, evitando o interrompendo un trattamento, o somministrandone uno che ha accelerato la morte.


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