Alla riconquista del diritto a stare bene

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L’organizzazione Section 27 (nome preso dall’articolo della costituzione sudafricana sul diritto alla salute) ha convocato a Johannesburg alla fine di marzo un centinaio di attori della società  civile e delle comunità  africane, insieme a una manciata di ong del nord, nel primo «Dialogo Africano» sulle strategie per accelerare e unificare le campagne a favore del diritto alla salute: l’intento era raccogliere reazioni e contributi all’ipotesi di una nuova convenzione quadro dell’Onu come strumento per ispirare e unificare le numerose lotte locali in corso su questo fronte. Al dialogo africano è seguita a maggio, a New Delhi, la prima consultazione globale sul diritto alla salute e la sua governance globale, con l’obiettivo di modulare la visione comune di un nuovo movimento per la salute per tutti. Con scopi e azioni condivise. Evento inedito, in India si sono trovati insieme ai principali attivisti della salute gli esperti del movimento Tax Justice Network (rete sulla giustizia fiscale), che hanno condiviso esperienze concrete e strategie operative da intrecciare – tasse, paradisi fiscali e malattie – per ripensare come rafforzare giuridicamente il diritto alla salute.
Nonostante lo slogan «Salute per tutti entro l’anno 2000», coniato alla conferenza di Alma Ata nel 1978, il mondo pullula di malattie, vecchie e nuove. La loro epidemiologia combacia ostinatamente con quella delle disuguaglianze sociali e, in ogni parte del mondo, la capacità  di prevenire e curare i sintomi del «malato» è direttamente proporzionale allo sviluppo socioeconomico e al livello di partecipazione democratica del «cittadino». Forse a causa di questa situazione, da due decenni almeno si fa un gran parlare di salute, sull’onda d’urto provocata dalla formidabile battaglia della società  civile contro la pandemia dell’Aids, che ha posto al centro i diritti delle persone sieropositive per trasformare diagnosi e cura in diritto e bene comune. La conquista ha creato il senso di una comunità  globale in grado di promuovere forme di solidarietà  prima inesistenti e ha ri-politicizzato con forza il discorso sulla salute.
All’approssimarsi delle scadenze fissate dagli «obiettivi di sviluppo del millennio» il bilancio è sconfortante e per alcuni indicatori – la mortalità  infantile – catastrofico: invece di ridursi di tre quarti, come da obiettivo, in alcune aree del pianeta è tornata a salire. .
L’incontro indiano ha prodotto il Delhi Statement, o «Dichiarazione di Delhi»: un elenco di principi e raccomandazioni su diritto alla salute, governance globale per la salute e riforma dell’Oms, che introduce la necessità  di una nuova cornice legale più vincolante delle norme attuali, e meccanismi di monitoraggio. Evidenzia la priorità  che il diritto alla salute deve avere in tutti i negoziati nazionali e internazionali (le politiche sull’energia, il lavoro, l’ambiente, il commercio, l’agricultura, il fisco).
A maggio, alla assemblea mondiale dell’Oms, il neonato movimento ha debuttato a Ginevra con il Delhi Statement e con una nuova piattaforma, Democratising Global Health («democratizzare la salute globale»: www.democratising globalhealth.org). Perché la democrazia (più che la governance) è la vera questione, quando si parla di salute. La voce dei bisogni delle persone, invece del potere dei soldi.


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