Che fa l’Enel in Patagonia?

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Se e quando realizzati, gli sbarramenti sommergeranno ben 5.600 ettari di un raro ecosistema forestale, tra cascate e canyon formatisi nel corso di milioni di anni, con impatti socio-ambientali enormi. Il sistema di dighe produrrà  energia per un totale di 2.750 megawatt, che sarà  poi trasportata verso nord a ben 2.300 chilometri di distanza, in direzione di Santiago del Cile e del suo distretto industriale, tramite una linea di trasmissione (da costruire) composta da 6mila torri alte 70 metri che attraverserà  i territori Mapuche, tagliando nove regioni (metà  del Cile), sei parchi nazionali e 67 comuni e che nei prossimi mesi dovrà  passare il vaglio delle competenti autorità  ambientali.
Cosa c’entra l’Enel? C’entra, perché il consorzio HidroAysen, che promuove il progetto, è per il 51% di proprietà  di Endesa, che ne è anche capofila (l’altro 49% è della cilena Colbun). E la compagnia Endesa è controllata proprio dall’Enel, controllata per il 32% dallo Stato italiano tramite il ministero dell’Economia e delle Finanze.
Il progetto delle dighe sui fiumi Pascua e Baker è in discussione da diversi anni e ha suscitato numerose opposizioni: tanto che in Cile tre anni fa è stato fondato il «Consiglio della difesa della Patagonia, che comprende una sessantina di organizzazioni sociali, culturali, religiose, ambientali e studentesche che promuovono attività  su scala locale e nazionale. Accanto alla società  civile locale è scesa in campo una rete internazionale di sostegno, si è mobilitata International Rivers, la storica organizzazione non governativa statunitense che da oltre due decenni si batte per la tutela dei fiumi e contro la costruzione delle grandi dighe; in Italia si è formata una «Campagna italiana Patagonia senza dighe»: ed è questa che ora chiede all’Enel di ritirarsi dal progetto.
In un recente sondaggio d’opinione, il 61% degli intervistati si è espresso contro il progetto, nonostante il considerevole battage pubblicitario messo in piedi negli ultimi mesi dal consorzio HidroAysen. L’opposizione delle comunità  locali è destinata a crescere ancor più quando sarà  esaminato il progetto della linea di trasmissione. La questione delle dighe nell’Aysen è stata sollevata più volte anche durante le assemblee degli azionisti Enel – l’ultima lo scorso 29 aprile. Un anno fa era venuto a Roma anche il stesso vescovo dell’Aysen, Luigino Infanti, per «dar voce alla preoccupazione di migliaia di persone» che subiranno le conseguenze di quelle dighe: ci aveva spiegato tra l’altro che il progetto delle dighe è reso possibile da normative sull’uso delle risorse naturali inscritte nella costituzione voluta dal generale Augusto Pinochet e datata 1980, che «permette a chi ha il potere economico di comprarsi il Cile, e così il settore idrico ha finito per essere il più privatizzato dell’intero pianeta. L’82% è in mano a Endesa, che arriva ad avere il 96% in Aysen, il resto a imprese minori. Tuttavia al momento in Cile ci sono ben 25 conflitti in atto per l’acqua, le miniere e le foreste», ci aveva detto il vescovo.
Finora proteste e opposizioni sono state inascoltate. Adesso vedremo come reagirà  la HydroAysen: «Ci auguriamo che l’Enel riconsideri la sua partecipazione all’opera, come gli hanno chiesto anche gli attivisti cileni intervenuti durante l’ultima assemblea degli azionisti».


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