Sette idee per il futuro

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Un interruttore per separare il petrolio dall’acqua: un colpo di bacchetta magica per rimediare a disastri come quello che nel 2010 ha sconvolto il Golfo del Messico con l’esplosione della piattaforma estrattiva Deepwater Horizon. Possibile? No, purtroppo la risposta ancora oggi è negativa. Ma un primo passo nella direzione giusta, per ridurre il danno anziché aggravarlo con l’uso di solventi ad alto impatto ambientale (pratica tuttora molto diffusa), è stato fatto. E il merito va a Philip G. Jessop, professore di Chimica inorganica alla Queen’s University di Kingston (Ontario), uno dei vincitori dell’Eni Award 2013.
Jessop ha scoperto gli interruttori che attivano le proprietà dei solventi: una sorta di telecomando in grado di pilotare le loro azioni in base alle singole situazioni e alla loro evoluzione. Arricchiti di questa capacità, i solventi vengono promossi, diventano “intelligenti”, anche se ovviamente è un’intelligenza esterna che ha trovato la maniera di agire a distanza modificando il comportamento dei prodotti chimici impegnati nella lotta all’inquinamento.
Il ricercatore canadese entrato nella rosa dei vincitori dell’Eni Award ha inventato una gamma di materiali attivabili per rispondere a diversi stimoli, ottenendo la possibilità di rendere reversibile il processo per poter continuare a modificare il comportamento dei solventi adattandoli alle funzioni necessarie in un certo momento. Un altro elemento di originalità dello studio consiste nell’utilizzo dell’anidride carbonica come innesco al posto di acidi, basi, sali, ossidanti o agenti riducenti.
Noi siamo abituati ad avere un’immagine negativa della CO2, perché l’aumento continuo delle emissioni serra sta minando la stabilità dell’atmosfera, ma l’anidride carbonica è, dal punto di vista industriale, economica, non tossica, non infiammabile. Quindi un componente ideale per la creazione di un prodotto chimico. E i solventi idrofili progettati nell’università dell’Ontario possono essere rimossi e riciclati utilizzando solamente acqua carbonata, senza bisogno di distillarla. E possono sostituire i solventi volatili e infiammabili usati finora.
Questa invenzione può essere utilizzata in varie applicazioni, alcune di grande attualità: dai sedimenti in sospensione, alla separazione delle emulsioni e recupero di acqua dolce da acque reflue e da acque residue di fracking (la nuova tecnica, molto discussa per l’impatto ambientale, che permette di ricavare gas e petrolio dalla fratturazione di rocce in profondità).
Le ricerche di Jessop potrebbero rivelarsi preziose nel facilitare il riciclaggio di acque reflue e di acque utilizzate in processi industriali. Tanto che la scoperta dei tensioattivi attivabili tramite CO2 è stata inserita dalla testata Canadian Chemical News nell’elenco delle venti scoperte chiave avvenute nell’ambito della chimica canadese durante gli ultimi cento anni. «È una scoperta interessante anche per le modalità di uso», commenta Ermanno Rizzi, il ricercatore dell’Itb-Cnr di Milano che ha partecipato alla mappatura del Dna di un batterio marino che può svolgere un lavoro analogo, depurando acque inquinate da petrolio e metalli pesanti. «Si può sparare la CO2 sulle coste contaminate dal petrolio con getti potenti, ottenendo il risultato di separare dall’acqua prodotti derivanti dalla lavorazione del greggio. Si ottengono prima dei sali e poi una schiuma che può essere rimossa con maggiore facilità». Ma, avverte Rizzi, l’uso dei solventi intelligenti può dare risultati interessanti soprattutto in situazione controllate, cioè in volumi modesti di acqua: in mare aperto tutto diventa più difficile. La miglior cura per l’inquinamento da idrocarburi è la prevenzione.


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