Le vittime collaterali della rivolta, tra vendette e «caccia allo straniero»

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 La famiglia di Noor, bambinetta di tre anni coi capelli ricci e la pelle color caffelatte, era sfollata da Derna a Tripoli con migliaia di altre, fuggite dall’Est della Libia in mano ai «ribelli». Altre famiglie venivano da Misrata, città  dell’Ovest controllata da mesi dai bengasiani, altre ancora dalle montagne Nafusa una volta prese. Famiglie filogovernative o considerate tali, impossibilitate a lavorare e fatte oggetto di minacce o violenze.

Decine di migliaia di persone si erano rifugiate in Egitto, altre a Tripoli o dintorni. Vivevano presso parenti o in strutture messe a disposizione dal governo. Fra queste un bianco villaggio vacanze per tripolini in riva al mare o quasi nel deserto, in una desolata serie di container ex domicilio di lavoratori di imprese cinesi evacuati mesi fa. Adesso probabilmente nessuno si può più occupare di loro per il cibo, l’acqua, la sicurezza. Quelle famiglie di «sfollati dalla parte del torto» sono adesso in grave pericolo. Ci si chiede se la Croce Rossa internazionale conosca il problema.
Molti altri sfollati vivevano a Zliten (poche decine di chilometri da Tripoli), sempre ospitati in strutture lasciate vuote da compagnie straniere oppure presso parenti. Alcuni di loro avrebbero già  trovato la morte la notte fra l’8 e il 9 agosto quando nel villaggio di Majer diverse bombe della Nato hanno fatto 85 morti civili.
Mohamed del Niger e molti altri suoi amici sub-sahariani che lavoravano a Tripoli aspettano l’evacuazione. Rischiano la vita per quella «caccia al nero» che nell’Est libico è in corso da tempo e adesso è arrivata a Tripoli. Mohamed vive nel quartiere Gangji dove ieri mancava sia l’elettricità  (fa molto caldo ed è impossibile rinfrescarsi e conservare i cibi), sia l’acqua: «Abbiamo un pozzo in questo gruppo di case ma l’acqua non è potabile. E il rubinetto è secco. Sto andando a cercare acqua per la rottura del digiuno, dopo il tramonto».
Prospettive? «Siamo in contatto con varie ambasciate africane compresa la mia ma non sembrano essere al corrente di prossime navi dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni. So che ieri sono partite delle persone ma non dell’Africa sub-sahariana. Non possiamo più stare qui». Ovviamente se va bene l’Oim riuscirà  a rimpatriare questi «danneggiati collaterali» dalla guerra Nato. Ad esempio in Niger, uno dei paesi più poveri del mondo, dove sono già  tornati nel nulla decine di migliaia di lavoratori.
Il cristiano pakistano Nathaniel, che con la famiglia viveva a Tripoli da decenni, non è più raggiungibile. Sparito nel gorgo della «caccia allo straniero», in una delle tante rese dei conti che si consumano all’ombra delle parole pacificanti dei leader del Consiglio ribelle, o semplicemente fuggito da Tripoli per cercare la strada di una casa liontanissima? La «vittoria» contro Gheddafi, giunta a Tripoli per l’esultanza dell’occidente che l’ha conquistata, è fatta anche di questo.


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