Siria, giallo sulla fuga del vice di Assad

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IL MISTERO del “Tris di Assi” — l’attesa fuga di tre rappresentanti d’altissimo grado del regime siriano — fa girare all’impazzata gli ingranaggi della macchina dei rumori a Damasco. Da 48 ore si prospetta una «rivelazione tanto esplosiva da piegare le ginocchia al presidente siriano Assad»: non abbastanza da farlo cadere — sostengono le fonti — però sufficiente a decretare l’asfissia del regime. Quali siano i personaggi eccellenti non è dato saperlo «finchè essi saranno in salvo oltre la frontiera ». È vero: molti annunci sono stati poi smentiti. Però, la fonte gode di una certa credibilità . Già  aveva predetto con esattezza importanti diserzioni: quella del generale Manaf Tlass, spifferata con due giorni d’anticipo; e ancora: quella del premier Hijab la notte stessa della fuga, prima che Al Jazeera trasmettesse la “breaking news. Diversa, invece, è la vicenda di Farouk al-Sha’ara: vicepresidente di Bashar al-Assad dopo una vita agli Esteri sotto Assad padre (fu ambasciatore a Roma nei Settanta), i resoconti di un sua partenza sono contraddittori. L’Esercito libero siriano, non sempre attendibile, lo dà  agli arresti. Altri, a tarda notte, ribadiscono la fuga: “È nascosto in Siria”. Però, un comunicato della vicepresidenza lo dice a Damasco, niente affatto «intenzionato a lasciare». Sha’ara aveva aperto un dialogo con l’opposizione storica interna. Non se n’era fatto niente dopo la militarizzazione della rivolta. Ancora poco fa, Washington lo annoverava fra i riformisti. Il siriano è molto ambito: è l’uomo cui il rais dovrebbe in teoria passare il potere, nel piano della Lega araba e dell’America. In più, Sha’ara conosce i meccanismi del regime: porterebbe con sé un formidabile patrimonio di informazioni. Ma fin qui sono tutte speculazioni. L’unica nota certa riguarda la diplomazia internazionale. Il ministro francese Fabius strepita per «l’enorme sciocchezza» commessa a suo avviso dall’Air France, che a causa degli scontri in Libano ha dirottato su Damasco un volo diretto a Beirut: a bordo viaggiavano l’ambasciatore francese Paoli e «figure libanesi ostili al regime siriano». Soprattutto, però, arriva la nomina dell’algerino Lakhdar Brahimi, fama di abile mediatore, al posto di Kofi Annan. Un coro di congratulazioni accompagna il nuovo inviato speciale: il segretario di Stato Usa Hillary Clinton gli assicura «sostegno» malgrado Brahimi, già  inviato per l’Afghanistan e l’Iraq, si sia dimesso nel 2004 dopo «gravi incomprensioni con l’America ». La Cina ne esalta «l’esperienza diplomatica». Il russo Lavrov lo incita a «raccogliere il piano di Annan» mentre respinge «una zona d’interdizione aerea: violerebbe la Carta dell’Onu». Quanto sia complessa l’impresa di Brahimi, lo dimostra la violenza in Siria. Si combatte vicinoalla frontiera con la Turchia dopo l’imboscata a un convoglio militare. Ad Aleppo continua l’offensiva contro i ribelli. Riprendono i bombardamenti di Aazaz, dove restano in ostaggio gli sciiti libanesi sequestrati in maggio. Artiglieria e insorti si affrontano a Homs. In alcune periferie di Damasco si spara ancora. Su questo sfondo, il capo della missione Onu, il generale Gaye, smentisce la fine dell’impegno: «Restiamo per avviare un dialogo fra le parti ». Due parti per ora non disposte a disarmare: «Entrambe devono garantire la protezione dei civili», dice ancora e conclude: «L’obbligo non è stato rispettato».


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