Tutti pazzi per l’austerity. Così comincia la recessione e la reazione «populista»

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PARIGI.Il rigore e l’ortodossia come sole risposte alla crisi. I vertici della Bce (Banca centrale europea), ieri a Parigi, si sono trincerati dietro il diktat del risanamento dei conti pubblici, subito e a qualunque costo sociale. In un intervento a un convegno organizzato dall’Institut Montaigne, un think tank liberista presieduto dal banchiere Claude Bébéar, l’attuale presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha affermato che è «assolutamente imperativo» rafforzare la sorveglianza economica della zona euro e che ogni paese deve sbrigarsi ad integrare nella legislazione nazionale le norme che «devono permettere di sorvegliare molto più strettamente le evoluzioni dei bilanci nazionali». Trichet rilancia l’idea di un ministro delle finanze europeo che, in mancanza di un vero e proprio governo eletto democraticamente, equivale alla nomina di un pilota automatico alla guida dell’Europa, di una forma di semi-federalismo bastardo. Mario Draghi, che gli succederà  a novembre, è sulla stessa linea.

Mentre ieri le Borse sono crollate di nuovo in tutta Europa, Milano in testa, l’ancora governatore della banca d’Italia ha messo in guardia contro eccessive speranze nel Fondo europeo di stabilità  finanziaria, da cui «non bisogna aspettarsi troppo», visto che, anche se verrà  reso operativo l’accordo del 21 luglio scorso (contiene il secondo piano di aiuto alla Grecia e un ampliamento del Fesf) si tratta solo di una «soluzione di emergenza». In altri termini, ha chiarito Draghi, l’acquisto di titoli di stato da parte della Bce, come avvenuto negli ultimi giorni anche per quelli italiani (cosa che non ha impedito l’allargamento dello spread con i Bund tedeschi, ormai a 370 punti) non è «scontato». Draghi si è dichiarato contro la creazione di eurobond, che per alcuni sembravano essere una via d’uscita. Non solo la Germania (e con lei Austria, Finlandia, Olanda, che si riuniscono oggi a Berlino per accordarsi sull’intervento a favore della Grecia da parte dei paesi «virtuosi») sono reticenti, ma il colpo di grazia preventivo è arrivato dalla solita Standard and Poor’s. L’agenzia di rating ha minacciato di classificare nella categoria «speculativa» gli eventuali eurobond: «Se avessimo delle obbligazioni europee garantite al 27% dalla Germania, al 20% dalla Francia e al 2% dalla Grecia il rating sarebbe allora CC, cioè quello del debito greco», ha affermato Moritz Krà¤mer, capo-divisione del rating in Europa per l’agenzia.
Dalla Grecia arrivano notizie estremamente preoccupanti. Il ministro delle finanze, Evangelos Venizelos, ha riconosciuto venerdì scorso che il deficit supererà  l’8% e che i piani di rigore non hanno l’effetto scontato, mentre la troika (Fmi, Bce, Commissione) se ne è andata via precipitosamente da Atene. Se la Grecia non rispetta gli impegni, è in forse il versamento di una nuova tranche, previsto a metà  settembre. Domani c’è un appuntamento cruciale per il piano di aiuti alla Grecia: è atteso il giudizio della Corte di Karlsruhe, la Corte costituzionale tedesca, che deve stabilire se è conforme alla legge. Intanto, le banche private frenano sull’accettazione della loro parte, il cui principio di partecipazione al salvataggio della Grecia era stato stabilito nell’accordo del 21 luglio, che ora deve essere approvato da tutti i paesi della zona euro (cosa che prenderà  tempo, almeno fino a metà  ottobre).
La crisi dura da 18 mesi e i dirigenti europei sono presi dal panico. I «virtuosi» non vogliono mutualizzare il debito (la Finlandia si è già  messa d’accordo con la Grecia per ottenere in garanzia l’equivalente del versamento di Helsinki al piano di aiuti ad Atene, cosa che equivale al suo annullamento di fatto). Standard and Poor’s fa previsioni di recessione nella zona euro. Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, dall’Australia risponde che ci sarà  una «crescita moderata». Ma la somma dei piani di austerità  in tutti i paesi euro non può non annunciare un disastro, con il crollo del potere d’acquisto dei cittadini e i tagli alla spesa pubblica generalizzati. Le scadenze elettorali si accavallano (vari scrutini regionali in Germania, legislative spagnole il 20 novembre, presidenziali francesi nel 2012) e il populismo, che rifiuta la solidarietà , avanza dappertutto.


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