«No al governo tecnico, pm da fermare»

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ROMA — «Non sono ricattabile, da nessuno al mondo. Ho una vita privata adamantina, sono uno che aiuta gli altri, non credete alle invenzioni dei giornali e dei magistrati».
Unica concessione, sulle donne, indiretta, in tema di vizi privati: «Ho fatto tre fioretti, non fumo, non ballo e non gioco, qualche altra cosa mi è rimasta e spero mi rimanga a lungo». E le battute al telefono sul Paese? «Umani sfoghi».
Tranquillo sulle inchieste che lo riguardano, ma anche sulla situazione economica del Paese e sulla stabilità  del governo: «Sulla manovra abbiamo fatto un miracolo e quando sento parlare di governi tecnici mi viene da ridere. Di certo arriveremo sino alla fine della legislatura, poi, visto che dopo venti anni di politica non ne puoi più, se rinunciassi ne avrei diritto ma farò quello che sarà  necessario. Due persone stimo più di altre, Alfano e Letta, il primo lo vedrei a Palazzo Chigi il secondo al Quirinale».
Berlusconi come ogni anno va alla festa di Atreju, giovani del Pdl, lo incalza Giorgia Meloni, ne esce fuori una vera intervista, domande dei ragazzi su ogni argomento e risposte del Cavaliere.
Su tutto colpisce la serenità  del protagonista: non una parola sul «dramma» della bassa crescita denunciato da Napolitano, sulle altre riforme economiche, possibili nel breve periodo. Giorgia Meloni lo sprona sulle pensioni, il premier risponde che «abbiamo già  fatto tanto, ovviamente il nostro sistema ha un mare di miglioramenti possibili, ma sarebbe meglio se ce li imponesse l’Europa, che invece continua ad avere un corpo enorme e una testa molto piccola».
Sarebbe meglio per ragione dei «consensi», lo dice apertamente il capo del governo, ammette apertamente un deficit di responsabilità , e non sembra che l’argomento valga impegni e promesse spendibili: con la Lega, per i ritocchi previdenziali alla manovra, «c’è già  stato un corposo braccio di ferro», meglio dunque se il prossimo lo imponesse Bruxelles.
Sul debito e le turbolenze finanziarie Berlusconi si mostra altrettanto sereno: «Vorrei portare un po’ di ottimismo, la colpa dei debiti è colpa dei governi del compromesso storico, sulla manovra non è stato facile, ma alla fine abbiamo fatto un miracolo, in soli quattro giorni, abbiamo lavorato spalla a spalla con Tremonti, e sono invenzioni quelle delle nostre lotte, abbiamo anche introdotto il principio del pareggio di bilancio, lo raggiungeremo nel 2013, la prima volta dopo Minghetti, nel 1876. E i mercati hanno subito reagito bene».
Ma nel prossimo futuro ci sarà  da fare altro: riforma del Fisco, della Costituzione e della giustizia, anche perché «oggi con i nostri poteri è difficilissimo fare qualcosa di concreto, io ho avvertito in questi anni un senso drammatico di impotenza, il governo non ha nessun potere, oggi la sovranità  popolare è dei magistrati e di Magistratura democratica, uno stato di cose inaccettabile, uno strapotere da combattere e cancellare».
Berlusconi affronta anche le cause della crisi finanziaria: «Banche e fondi americani hanno deciso di disinvestire sull’euro, hanno cominciato dalla Grecia e sono arrivati a noi. E quando si dice governo tecnico mi viene da ridere, noi mica siamo soli, anche noi abbiamo i tecnici e se siamo riusciti a rispondere ai mercati è anche grazie alla mia autorevolezza e non vedo in giro tanti tecnici con molta autorevolezza, per questo vi dico che questo governo arriverà  certamente alla fine della legislatura, non c’è alcun tecnico al mondo che avrebbe fatto il miracolo che abbiamo fatto noi».
Una battuta o poco più sulla sinistra: «Per come hanno reagito alle nostre aperture sulla manovra mi verrebbe da dire che sono pronti per la dittatura, nessuno fra loro è degno di fare il premier, per questo sono convinto che gli elettori moderati prevarranno ancora».


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E DI SEMPLICE NON RESTà’ NULLA

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 Questa legislatura si era consegnata al mondo sventolando una bandiera: semplificazione. Cinque soli partiti in Parlamento, quando il governo Prodi ne riuniva 11 attorno al proprio desco. Fuori le estreme, dalla Destra di Storace a Rifondazione comunista, ghigliottinate dalla soglia di sbarramento. Fusione in un unico cartello di An e Forza Italia (il Pdl), Ds e Margherita (il Pd). Un’idea di riforma costituzionale condivisa, per sfoltire i ranghi (mille parlamentari), per recidere i doppioni (due Camere gemelle). All’epoca venne persino inventato un ministro per la Semplificazione: Calderoli, buonanima.

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