Kabul, ucciso l’ex presidente Rabbani

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Il messaggio è chiaro e drammatico: no alle trattative per pacificare l’Afghanistan. Una settimana dopo aver messo a ferro e fuoco Kabul, i Taliban affinano la mira e uccidono Burhanuddin Rabbani, capo dell’Alto Consiglio per la pace ed ex presidente dell’Afghanistan. Rabbani era nel mirino dei Taliban da tempo e stupirebbe la relativa facilità  con cui è stato ucciso, se non fosse chiaro che in Afghanistan, a dispetto dell’impegno della missione Isaf, vige ancora la divisione tra fazioni che ostacola ogni tentativo di riconciliazione nazionale.
Rabbani è stato ucciso ieri da un’esplosione nella sua casa di Kabul, poco distante dall’ambasciata Usa dove, udito il boato, è stato lanciato l’allarme e ordinato a tutto il personale di raggiungere i rifugi. Il capo del Consiglio di Pace era sotto stretta sorveglianza e la sua villetta circondata da recinzioni fortificate, ma i due sedicenti emissari Taliban sono stati fatti entrare e non sono stati perquisiti perché riconosciuti come “sicuri” da un collaboratore di Rabbani, Masoom Stanakzai, rimasto gravemente ferito nell’attentato. Uno dei due ha fatto detonare l’esplosivo che aveva nascosto nel turbante quando l’ex presidente si è avvicinato per salutarlo.
Per ora non è arrivata una rivendicazione dell’attentato, ma, anche se ci sarà , attribuire una responsabilità  precisa ad una fazione della variegata galassia Taliban, divisa sulla possibilità  di resa al governo appoggiato dagli americani, sarà  difficile. Rabbani aveva dichiarato lo scorso giugno di fronte al Parlamento afgano che le trattative con gli insorti erano a buon punto, grazie al coinvolgimento di tutte le fazioni più importanti, comprese le più riottose: la Shura di Quetta, Hezb-iIslami Gulbuddin e Haqqani, ritenuta responsabile degli attacchi all’ambasciata Usa di una settimana fa. Il partito di Rabbani, Jamiat-e-Islami, Società  islamica, punta il dito proprio contro la Shura di Quetta, sostenendo che a nascondere l’esplosivo nel turbante fosse un rappresentante di tale gruppo, arrivato con tanto di credenziali del consiglio taliban di cui è a capo il mullah Omar.
Non passa inosservato il tempismo dell’assassinio. Proprio ieri il segretario di Stato Hillary Clinton ha incontrato l’ambasciatore pachistano per chiedere maggiore collaborazione e informazioni per colpire la fazione Haqqani, che gli Usa ritengono al momento la più pericolosa, e sempre ieri Hamid Karzai era a New York per l’assemblea Onu. Non sembra una semplice coincidenza neanche che prima di Rabbani la vittima più illustre dei Taliban è stata, lo scorso luglio, il fratello di Karzai, Ahmed Wali, che nel 2007 aveva per primo tentato di trattare con gli studenti coranici. Il presidente afgano ha anticipato il suo rientro a Kabul, ma ha prima incontrato Barack Obama. «Rabbani era un leader della resistenza afgana che ha cercato di dare all’Afghanistan unità  e indipendenza. La sua morte è il segnale di una grande cospirazione da parte dei nemici del Paese», ha detto Karzai, mentre Obama ha parlato di «una tragica perdita» che «non impedirà  di creare un percorso nel quale gli afgani possano vivere in libertà , sicurezza e prosperità ». Ma ora l’Afghanistan deve trovare un nuovo mediatore e rimpiazzare Rabbani sarà  assai difficile.


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