IL MOMENTO DELLA VERITà€

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Obama, la grande speranza di tanti, ha fatto quello che ci si aspettava da lui: ha tradotto i suoi calcoli elettorali in un discorso vergognoso che fa persino dimenticare le caute aperture del passato recente. Per quelli che ancora non vogliono capire: il presidente americano agisce nelle questioni economiche circondato dai maggiori rappresentanti del neoliberismo, inietta quantità  incalcolabili di dollari nel sistema per salvare le banche, però non ha abbastanza soldi per cambiare il corso dell’economia e si attiene, come gli europei, alle indicazioni generali – e fallimentari – del Fondo monetario internazionale. È un uomo di pace che continua le sanguinose guerre imperialiste di Bush in Afghanistan e in Iraq.
Quando si ascoltano in poche ore le tirate retoriche del primo ministro israeliano Netanyahu conviene ricordare che questo brillante oratore non ha fatto e sicuramente non farà  niente in favore di una pace vera, e che ha ragione suo padre – uno storico centenario di ultradestra – quando assicura che il figlio non concederà  nessun territorio della Terra santa al nemico.
E quando si ascoltano le parole di Abu Mazen è importante ricordare la questione essenziale: il presidente palestinese arriva all’Onu indebolito e dopo aver fallito in tutte le altre vie che credeva avrebbero portato all’indipendenza palestinese. Sì, l’accettazione della Palestina all’Onu è importante, ma è necessario specificare che lo è, per ora purtroppo, solo simbolicamente e come possibile strumento di lotta nell’arena diplomatica.
Questo riconoscimento però, così come le analisi e le relazioni intrattenute con l’Autorità  nazionale palestinese, non devono farci dimenticare che si tratta di un’Autorità  nominale, con un presidente e un primo ministro che sono tali solo di nome. Parallelamente agli sforzi diplomatici di Abu Mazen, il primo ministro Fayad costruisce le istituzioni palestinesi e abbellisce le strade di Ramallah, mentre le forze di polizia addestrate dagli americani si occupano dell’ordine e del traffico. Nel frattempo Hamas governa sui 363 chilometri quadrati della Striscia di Gaza e l’accordo che parlava di unità  palestinese attende giorni migliori tra un Egitto turbolento e una Siria sanguinosa.
Tutto avviene, comunque, all’interno di una grande prigione a cielo aperto, soggetta all’occupazione israeliana, quadro reale dell’esistenza palestinese. Solo il sabato santo, che cade a Gerusalemme mentre Netanyahu parla a New York, fermerà  per alcune ore la costante costruzione di insediamenti nei territori occupati.
Mentre a New York parlano, nei territori occupati la coalizione tra ultranazionalismo e fondamentalismo ebraico-messianico costruisce nuove case e continua ancora a rubare terre, e le bande armate dei gruppi più estremisti fanno paura persino all’esercito israeliano.
I giorni della dichiarazione di Venezia del 1980 sembrano ormai molto lontani, mentre l’Europa intera è attraversata da una crisi economica e politica. Ma non per questo dobbiamo dimenticare l’urgenza di fermare gli abusi costanti del governo israeliano di estrema destra, che non solo mette a rischio la pace nell’intera regione ma costituisce anche una minaccia quanto mai concreta all’esistenza stessa di Israele.


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