Mortalità  infantile, una campagna su cui investire

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Si chiama «Vogliamo arrivare a zero» ed è anche un appello alle istituzioni perché facciano di più, ha spiegato al suo fianco Vincenzo Spadafora, presidente di Unicef Italia: «Ogni giorno nel mondo muoiono 21 mila bambini per cause prevenibili», 8 milioni con meno di cinque anni, una strage. Che si può provare a evitare, investendo di più sulla prevenzione delle malattie, figlie della povertà  e ancora dilaganti nei paesi del terzo mondo.
«La nostra sfida – ha detto Lake – è salvare i bambini più lontani e irraggiungibili, quelli dimenticati, in parti del mondo dove in molti muoiono per malattie da noi persino banali come il morbillo o il colera, o per la mancanza di acqua potabile e di vaccini. Un bambino in stato di malnutrizione acuta grave – ha detto ancora – può essere salvato e riprendersi pienamente entro sei settimane di semplice terapia nutrizionale». Nell’occasione, Alberto Angela, giornalista e divulgatore, è stato nominato ambasciatore Unicef e testimonial della campagna «Vogliamo arrivare a zero» a fianco di altri volti noti, come l’attore Lino Banfi.
L’Unicef ha anche presentato insieme all’Istat – dopo un incontro al Quirinale con il presidente della repubblica Giorgio Napolitano – uno studio sulla mortalità  dei bambini, mettendo a confronto i dati dell’Italia post unitaria con i paesi in via di sviluppo. Numeri e grafici, ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore dipartimento statistische sociali dell’Istat, indicano quanto sia stato fatto per ridurre le cause di mortalità  nel nostro paese. Se poco dopo l’unificazione quasi un nato su due non raggiungeva il compimento del quinto anno di vita, oggi – tra i bambini sotto i cinque anni – l’Italia ha un tasso tra i più bassi al mondo (4 su mille come in Francia, un gradino sotto la Svezia che si ferma a 3 e sopra gli 8 degli Stati Uniti). Ma c’è ancora molto da fare, se nel 2009 il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo e l’Afghanistan registrano tassi di mortalità  infantile uguali a quelli dell’Italia degli anni Venti, 190 decessi entro i primi cinque anni di vita per mille nati vivi. E la guerra in corso in alcuni di questi paesi non spiega tutto.
Lake, al timone dell’Unicef da poco più di un anno, ha benedetto la campagna «Vogliamo arrivare a zero» e ha lanciato un altro allarme: «Sono 13,3 milioni le persone che hanno immediato bisogno di aiuto umanitario: 4 milioni in Somalia, 3,75 milioni in Kenya, 4,6 milioni nell’est dell’Etiopia, 840.000 rifugiati nella regione e 165.000 a Gibuti, che avendo in totale 740.000 abitanti risulta il paese con la percentuale più alta di popolazione colpita». Una vera e propria «catastrofe», ha sottolineato Lake, con carestia «dichiarata in sette paesi del Corno d’Africa», dove in particolare «donne e bambini pagano le conseguenze più gravi dell’emergenza. In Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti, 4 milioni e 140 mila bambini continuano ad aver immediato bisogno di assistenza, oltre 330.000 dei quali nella sola Somalia ancora soffrono di malnutrizione acuta grave, e sono quindi a rischio immediato di vita».


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