Spari e festa per i detenuti liberati “Ora vogliamo un altro Gilad”

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GAZA CITY – I combattenti delle Brigate Qassam, che costituiscono il braccio armato di Hamas, di norma sono una presenza invisibile nelle città  di Gaza. Ora, però, gli uomini che indossano passamontagna neri e bandane verdi sono ben decisi a ricordare alla popolazione di Gaza che senza di loro Israele non avrebbe mai liberato i 1027 militanti palestinesi che saranno rilasciati entro i prossimi due mesi.
Quando le tenebre sono calate su Gaza, l’aria si è riempita di raffiche d’arma da fuoco sparate per festeggiare la conclusione di un accordo così lungo e combattuto. Anche per i palestinesi c’è motivo di far festa: dalle prime ore del giorno si sono radunati a decine di migliaia nella piazza centrale di Gaza City per dare il benvenuto ai prigionieri rilasciati. Per Israele gli uomini liberati sono terroristi, che si sono macchiati di attentati che hanno fatto centinaia di vittime tra gli israeliani. Ma non è così per i palestinesi di Gaza che li onorano come prigionieri di guerra catturati in una lotta giusta per conquistare la libertà  combattendo uno spietato occupante.
Le folle cantano e applaudono mentre gli autobus portano i militanti attraverso il Valico di Rafah alla frontiera tra Gaza e l’Egitto. Non appena toccano il suolo palestinese, molti degli uomini finalmente liberi – alcuni dei quali hanno trascorso anche trent’anni in carcere – si inginocchiano per baciare la terra. Le massime autorità  di Hamas, compreso il primo ministro de facto di Gaza, Ismail Haniyeh, li abbracciano uno dopo l’altro prima che si riuniscano ai loro famigliari. Alcuni mancano da quando erano giovani: adesso sono uomini di mezza età  o addirittura anziani. «Aveva appena 25 anni quando è stato fatto prigioniero», dice Khaldeya al-Hassary mentre aspetta il cognato Mohammed, 54 anni oggi, condannato a tre ergastoli per aver ucciso alcuni soldati israeliani. «Non sarà  più lui. Gaza è cambiata, ogni cosa è radicalmente cambiata e non conoscerà  nessuno, perché tutti gli amici della sua generazione ormai sono morti».
Lo scotto del conflitto con Israele resta evidente. La piazza di Gaza City dove gli ex detenuti prendono posto su una specie di palco decorato da fiori è sovrastato da un edificio sventrato da un’incursione di Israele di circa tre anni fa. Nella gioia collettiva, alcuni si prendono un momento di pausa e riflettono su Shalit. In un bar tre uomini si ritrovano davanti a una televisione per seguire la sua prima intervista dopo il rilascio. «Da prigioniero ho simpatizzato con lui. Come ho simpatizzato con tutti gli altri prigionieri» dice Mehir Ramadan, il cuoco. Ma fuori la folla canta a squarciagola e all’unisono: «Vogliamo un altro Gilad».
Alcuni ammettono che quanto sta accadendo è poco edificante, quasi di cattivo gusto, ma sostengono anche di non avere alternative. L’unico modo per smuovere Israele è prendere ostaggi. «La gente ci considera dei mostri» dice l’insegnante Yehya al-Zahar. «Capiamo che Shalit ha sofferto più di quello che una persona dovrebbe soffrire, ma nelle prigioni hanno sofferto israeliane anche migliaia di palestinesi e ormai abbiamo imparato che Israele capisce soltanto la lingua della forza. Abbiamo cercato di usare parole di pace, ma Israele non ci ascolta».
Indubbiamente, la portata dello scambio di prigionieri avvenuto ieri ha dato forte slancio e impulso ad Hamas. Malgrado tutto, però, il trionfo potrebbe rivelarsi effimero. Nella marea di bandiere verdi di Hamas a Gaza spicca una grande area di persone che agitano le insegne gialle di Fatah, il partito di Abbas. Dopo questo scambio di prigionieri gli islamisti forse torneranno in auge ma, quanto meno a Gaza, Hamas è più che consapevole che la popolarità  di cui godeva in passato sta affievolendosi sempre più.
(©The Daily Telegraph La Repubbica Traduzione Anna Bissanti)


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