Bossi: la Ue vuole mandarci a casa
MILANO — «Anche Berlusconi lo ha capito, l’Unione Europea vuole mandarci a casa». La frase è di Umberto Bossi e arriva in tarda serata, al termine della riunione del gruppo dei deputati leghisti dopo la seduta d’Aula e appena prima dell’ennesima cena del capo padano con il premier a palazzo Grazioli.
Una dichiarazione che può essere utile a capire l’atteggiamento (non soltanto leghista) nei confronti degli europartner, ormai definitivamente visti — spiega un deputato — come nemici da «sconfiggere sulla scacchiera più che sul campo di battaglia». Tra gli euro-nemici entra ufficialmente Mario Draghi, sia pure non apertamente menzionato, sia pure senza che quest’ultimo si sia ancora insediato a Francoforte: «Chi ha scritto la lettera (della Bce ndr), chi fa quelle robe lì, è un italiano. È una fucilata a Berlusconi».
Ad ogni modo l’idea sembra essere quella di prendere tempo. Qui, Bossi lo dice e non lo dice: «Sulle pensioni il governo rischia», ma alla fine «una strada l’abbiamo trovata, bisogna vedere cosa dice l’Europa». E lo ribadisce la Padania: sotto al titolo «la Lega non molla» si legge: «Individuata una strada alternativa che sarà illustrata stamane dal premier a Bruxelles».
La sostanza è che se Silvio Berlusconi non è riuscito a smuovere Umberto Bossi dalla difesa intransigente delle pensioni di anzianità , il Carroccio ha comunque dato il suo benestare a una serie di misure che saranno appunto indicate nella lettera del premier all’Unione. Certo, Bossi non nasconde che la strada non è in discesa. Ma, al momento, nella partita a scacchi occorre prender tempo.
La parola chiave, almeno a sentire i leghisti, è «incentivi». L’accordo con il premier dovrebbe prevedere infatti qualcosa che ricorda da vicino il «superbonus» della riforma Maroni del 2004: ferma restando la possibilità di andare in pensione una volta maturata l’anzianità , sul piatto arriverebbero una serie di incentivi progressivi ed esentasse per trattenere nelle aziende i lavoratori che scegliessero di rimanere al loro posto. Ammissibile, forse, anche uno «scalone» per allontanare dalla pensione quelli che nei prossimi anni (ma non subito) avrebbero acquisito il diritto alla pensione di anzianità , oltre a un ulteriore anticipo dell’aumento dell’età pensionabile delle donne. Ma nel concreto, i deputati leghisti sanno poco: il capogruppo Marco Reguzzoni ha spiegato che troppe volte le ipotesi di accordo son finite intempestivamente sui giornali.
Resta il fatto che quello che ha fermato Bossi dal rovesciare il tavolo, come forse gli sarebbe piaciuto anche ad uso interno, è la preoccupazione — che nel Carroccio viene promossa al rango di certezza — di un intervento di Giorgio Napolitano. Secondo i seguenti passaggi logici enunciati da un bossiano di stretta osservanza: «Senza un minimo di apertura e un accordo sulle cose da dire all’Europa, a Berlusconi non sarebbe restato altro che presentarsi dimissionario, o andare in Parlamento a caccia di voti. In quest’ultimo caso, con noi sarebbe stata guerra nucleare». Nel primo caso, «dopo le dimissioni del premier, Napolitano avrebbe certamente dato il via almeno a un tentativo di governo per varare le riforme economiche chieste dall’Europa e cambiare la legge elettorale». Nessuno dei due punti all’ordine del giorno dell’ipotetico governo piace a Umberto Bossi: «Noi non facciamo governi tecnici» ha detto ieri, poco prima di mandare a quel paese una giornalista dell’Agi. In realtà , alla maggioranza silenziosa del Carroccio, quella impropriamente definita dei maroniani, l’idea del governo alternativo non dispiace: altri si facciano carico del lavoro sporco — le riforme — che noi ci dedichiamo a rinforzare il partito. Magari, con una legge elettorale che metta al riparo dalle annunciate epurazioni interne.
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