Libia, la promessa del Cnt “Processo ai killer di Gheddafi”

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TRIPOLI – Nel gioco del dare e avere tra la Libia e gli alleati occidentali, ieri il Consiglio nazionale transitorio si è impegnato a processare i responsabili dell’uccisione di Muammar Gheddafi e ha diffuso un “codice etico sui prigionieri di guerra”. In cambio, la nuova Libia ha ottenuto, grazie alla risoluzione Onu votata ieri, una attenuazione dell’embargo internazionale sulle armi, la fine del congelamento dei beni della compagnia petrolifera libica di stato, la Zuetina Oil Company, e delle restrizioni che bloccavano le operazioni delle principali banche libiche.
Il punto di partenza della riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato l’approvazione della fine del mandato per l’intervento militare, che ha come conseguenza l’abolizione della no fly zone sui cieli libici dal 31 ottobre e la cessazione di ogni intervento aereo della coalizione. Ciò non esclude tuttavia che l’impegno della Nato, alla quale mercoledì il presidente ad interim del Cnt, Jalil, ha chiesto di restare almeno fino a fine anno, non possa essere ridiscusso con obiettivi diversi da quello iniziali di «protezione dei civili». Ieri sono stati soprattutto gli Stati Uniti a mostrarsi possibilisti su un aiuto alla Libia per l’organizzazione delle forze armate e di polizia essenziali alla normalizzazione del Paese. La Nato, e gli Stati Uniti su tutti, sono infatti preoccupati che l’arsenale militare di Gheddafi, di cui si è persa in gran parte traccia, possa finire nelle mani di Al Qaeda nel Maghreb. La Libia cerca di rassicurare gli alleati, ma ha dovuto al tempo stesso ammettere che non è in grado di pattugliare i suoi ampi confini e ci sono già  state numerose segnalazioni di movimenti di truppe lealiste soprattutto verso il Niger, il Chad e il Mali. La zona è instabile anche a causa delle rivendicazioni indipendentiste dei Tuareg e c’è chi ha ipotizzato uno scambio tra questi ultimi e i gheddafisti: i fedeli del colonnello (forse lo stesso figlio Saif al Islam) avrebbero promesso l’indipendenza ai Tuareg in cambio di aiuto militare e protezione.
In questo momento la nuova Libia fatica già  a tenere sotto controllo le zone pacificate senza ricorrere, come ha già  fatto, a violazioni dei diritti umani, non può impegnarsi in un conflitto al confine. Si spiegano con la paura, il desiderio di fornire punizioni esemplari, ma anche con la difficoltà  a tenere unite le diverse anime della ribellione (le divisioni tra combattenti di Misurata, Bengasi e Tripoli sono sempre più marcate) le ormai conclamate esecuzioni sommarie dei prigionieri avvenute soprattutto a Sirte e Bani Walid. Quando ieri il vice presidente del Cnt, Abdel Hafiz Ghoga, ha annunciato che i responsabili dell’uccisione di Muammar Gheddafi saranno «giudicati» e avranno un «processo equo» e ha ammesso che ci sono state violazioni, ha tenuto a sottolineare: «Non aspettiamo che nessuno ci venga a dire cosa fare». In questa frase c’è l’impasse della Libia, che non può sminuire i suoi combattenti, ma non può ancora farcela da sola.


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