Obama studia tutte le opzioni per un’azione militare in Siria

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WASHINGTON — Un vertice simbolico. Per sottolineare che Obama, il comandante in capo, ha preso in mano la questione siriana. Sempre prudente, lontano da scelte affrettate, pronto però a impartire un ordine di attacco. Il presidente ha infatti convocato alla Casa Bianca i consiglieri più stretti ed ha esaminato il «pacchetto di opzioni» preparate — da mesi — dal Pentagono. La riunione, la seconda nell’arco di tre giorni, è un segnale che qualcosa si sta preparando in risposta all’uso dei gas attribuito al regime. Obama ha parlato al telefono con il premier britannico David Cameron circa le «possibili risposte della comunità internazionale sull’uso di armi chimiche».
Nelle ultime ore mosse diplomatiche e militari si sono accavallate dando un senso d’urgenza, aggravato dalle nuove informazioni giunte dallo scacchiere. Medici Senza Frontiere ha precisato che 355 persone decedute nei loro ospedali siriani presentavano sintomi neurotossici. Un referto che potrebbe avvalorare la tesi di un attacco chimico avvenuto il 21 agosto nel sobborgo di Damasco e che avrebbe coinvolto quasi 3 mila persone. Inglesi e francesi, certi del coinvolgimento dei soldati lealisti, premono per un’iniziativa rapida mentre gli americani, pur condividendo le analisi degli alleati, hanno chiesto un supplemento di inchiesta. Saranno gli agenti sul campo a dover raccogliere nuove prove da presentare al presidente. L’ordine della Casa Bianca è stato preciso: portateci altri elementi e poi decideremo.
Per questo il regime, con il sostegno di Iran e Russia, ha cercato di manovrare. E ieri i media ufficiali hanno raccontato che i soldati avrebbero trovato, in un tunnel vicino a Damasco, sostanze tossiche fornite ai ribelli da sauditi, tedeschi e qatarioti. La versione ufficiale è che sono stati gli insorti a usare i gas mentre il ministero degli Esteri ha anche promesso che permetterà agli ispettori Onu di indagare nei quartieri del massacro. Iniziative per alleggerire la pressione e accompagnare gli sforzi di quanti sono contrari a risposte militari. Teheran e Mosca — ovviamente — guidano la fila prefigurando una catastrofe per l’intera regione. Sia pure con molti distinguo, nel fronte del no c’è anche Angela Merkel, convinta che vadano trovate altre strade.
Consapevole delle resistenze degli amici di Assad — il Cremlino può usare il diritto di veto — e dei «neutrali», Washington, secondo il New York Times , non esclude di ripetere lo schema Kosovo. Ossia un attacco aereo senza mandato dell’Onu, come avvenne nel 1999 quando nel mirino finì la Serbia di Milosevic. Il Pentagono ha così mobilitato quattro navi — Gravely, Barry, Mahan, Ramage — che sono dotate di Tomahawk, missili da crociera in grado volare seguendo il profilo del terreno e piuttosto precisi. Armi con le quali colpire centri di comando, siti legati allo sviluppo e allo stoccaggio delle armi chimiche, unità militari e basi aeree. Uno strike che potrebbe essere seguito da incursioni affidate all’aviazione, che dispone di velivoli in Turchia e in Europa. Un’eventuale offensiva — contenuta — potrebbe galvanizzare gli insorti creando spazi e mettendo in difficoltà l’apparato del regime.
Oltre a pensare alla «punizione» gli alleati si preoccupano di eventuali rappresaglie. Domani ad Amman è previsto un summit coordinato dal generale americano Lloyd Austin, comandante del Centcom, e al quale parteciperanno i capi di Stato maggiore di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Canada, Giordania, Qatar, Turchia e Arabia Saudita. Un incontro — si è precisato — programmato da tempo ma che coincide con la fase di tensione. Gli Usa non escludono che i siriani possano reagire, usando mezzi convenzionali oppure affidandosi a un metodo ben collaudato, quello del terrorismo. Che, peraltro, è impiegato anche da una parte degli avversari di Assad. Ieri sera un’autobomba è esplosa in una zona cristiana della capitale provocando 5 vittime.

Guido Olimpio


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