Taliban aprono un ufficio in Qatar la trattativa con l’America alla luce del sole

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I Taliban afgani presto avranno un indirizzo, un numero di telefono e, così pare, una sede ufficiale fra i grattacieli rutilanti del Qatar. A quel recapito i negoziatori – in primo luogo americani – potranno rivolgersi per aprire un dialogo con gli emissari del Mullah Omar, l’imprendibile leader dei guerriglieri, che l’America combatte nella guerra più lunga e sanguinosa della sua storia.
«Dobbiamo assolutamente sbaragliare quella rete di radicali», aveva detto il presidente Obama alla fatidica scadenza dei 104 mesi dall’invio del contingente Usa nel marasma afgano – un mese in più rispetto al Vietnam. Ora il tono è profondamente cambiato: «Non avremmo potuto sperare in un segnale più esplicito a favore della pace», esulta un diplomatico occidentale a Kabul, intervistato dal New York Times a proposito dell’inaugurazione della sede qatariota. I Taliban confermano: «L’intesa vuole agevolare una maggiore comprensione con le forze internazionali». 
Per assicurarlo, l’emiro del Qatar si è piegato alle richieste di Washington e Berlino. Quanto a lui, il presidente afgano Karzai si è accodato, riottoso: l’accordo è avvenuto a sua insaputa, e come sponsor avrebbe gradito gli alleati sauditi o turchi. 
Che le trattative, però, siano già  decollate – e che il percorso verso il traguardo resti lungo e accidentato – lo dimostra la prima condizione posta sul tavolo dai combattenti: il rilascio dei leader rinchiusi a Guantanamo, tutti prigionieri considerati dall’America «ad alto rischio». Nell’elenco figurano i nomi di Muhammad Fazl, ex ministro della Difesa dei Taliban; Kahirullah Khairkhwa e Nurullah Nori, entrambi governatori; la superspia Abdul Haq Wasiq, e il gran cassiere dei Taliban, Muhammad Nabi. E già  Washington è disposta a trasferire a Kabul i carcerati richiesti dal governo.
Tutto questo non sorprende: da almeno due anni americani e Taliban dialogano con la mediazione della Germania, e con esiti a volte fortunosi. Nel 2010 mesi di trattative erano sfumati quando l’interlocutore, ritenuto un messaggero del Mullah Omar, s’era invece rivelato un ciarlatano arricchitosi con l’esca di centinaia di migliaia di dollari. Perciò l’insediamento di una “ambasciata” a Doha è una ulteriore garanzia.
Obama ha fretta di siglare un accordo, malgrado i droni continuino a colpire i guerriglieri, e i Taliban seminino nuove stragi. Le truppe Usa devono rientrare entro l’estate. O l’Afghanistan rischia di impantanare anche la rielezione di Obama.


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