Unicredit, Fondazioni irritate per l’aumento

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MILANO – E da domani si parte davvero. Il maxi aumento di capitale di Unicredit arriva sul mercato e la banca guidata da Federico Ghizzoni si troverà  a navigare in mare aperto, chiedendo al mercato 7,5 miliardi partendo da una capitalizzazione – a venerdì sera – inferiore agli 8. Cioè, grosso modo, quanto valgono in Borsa le sue controllate (pro-quota) in Polonia e in Turchia.
Chi deciderà  di vendere i diritti, mollando totalmente la presa, si diluirà  del 66,7%, chi sceglierà  di seguire l’aumento dovrà  pesantemente mano al portafoglio, investendo quasi altrettanto rispetto al valore di Borsa della sua quota venerdì scorso. Da domani, i titoli Unicredit ordinari si presentano alla riapertura con un valore teorico di 2,622 euro (il prezzo ex diritto) mentre i diritti medesimi varranno – al momento della riapertura – 1,359 euro. Sulla carta, al fischio di partenza c’è ancora uno sconto del 26% nel sottoscrivere nuove azioni al prezzo di 1,943 euro – i diritti saranno negoziabili dal domani al 20 gennaio – poi bisognerà  vedere come evolveranno i prezzi, sia del diritto sia delle vecchie azioni. Nell’ultimo aumento tra i bancari, quello di Bpm, il prezzo si è via via adeguato a quello della nuova azione con il passare dei giorni e il diritto ha di pari passo azzerato il suo valore. 
Unicredit si presenta stremata all’appuntamento, dal punto di vista borsistico: in pochi giorni, dall’annuncio del prezzo dell’aumento di capitale ha perso il 38% bruciando circa 4,5 miliardi di capitalizzazione, poco più della metà  di quanto si avvia a chiedere ai soci. Non a caso, tra questi, alcuni sono molto «arrabbiati», come rivela Giovanni Puglisi, il presidente della Fondazione Banco di Sicilia. «Il danno patrimoniale che mi hanno fatto è enorme – si è sfogato ieri – ne ho parlato con alcuni altri presidenti di Fondazione e il livello di preoccupazione è analogo» ha continuato Puglisi, spiegando che l’ingresso di nuovi soci è «pressoché inevitabile» visto che la sua Fondazione non seguirà  l’aumento e altre lo faranno solo parzialmente.
In teoria, da lunedì potrebbe esserci ancora forte pressione sulle azioni – tra l’altro da parte di chi ha preso in prestito i titoli (pagandoli fino al 7,5% di interessi) mentre dovrebbero essere avvantaggiati i diritti che vengono comprati contemporaneamente (le vendite allo scoperto semplici continuano ad essere vietate). Ma questa è solo la teoria; comunque, le due operazioni di compravendita azione-diritto potrebbero dar luogo a fortissima volatilità  all’interno della medesima seduta. 
C’è poi la lettura più cattiva, secondo cui i fortissimi cali dei giorni scorsi sono stati innescati da operazioni molto complesse tecnicamente, chiamate collar financing. Semplificando un po’, sono operazioni di finanziamento alternative al prestito tradizionale e che hanno come effetto tecnico di provocare vendite sui titoli: se hedge fund e magari qualche socio importante a corto di liquidità  (leggi, Fondazioni) si fossero fatte montare operazioni finanziarie del genere, si spiegherebbero in parte i forti cali della vigilia.


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