Il dottore è ammalato. S&P taglia il rating al «fondo salva-stati»

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Del resto, la credibilità  complessiva di questo fondo dipende dal giudizio sulla solvibilità  dei paesi che vi concorrrono; ed è chiaro che se Francia, Italia, Austria e altri sei paesi si sono visti ridurre il rating venerdì sera, anche quello «risultante» dal loro concorso doveva in qualche modo ridimensionarsi.
L’aspetto apparentemente paradossale è però chiaro: il «curatore» dei problemi dei debiti sovrani europei è a sua volta un mezzo malato. E l’unico paese ad alimentarlo che mantiene ancora alto il voto è la Germania. Ma questo significa trasferire sulle spalle tedesche quel ruolo di «finanziatore ultimo» delle magagne europee che la Merkel rifiuta come la peste. Bel problema. 
La reazione dei massimi dirigenti delle istituzioni europee è però un tantino preoccupante. Come se quel giudizio, dopo esser servito per mesi ad imporre una torsione drammatica alle politiche di bilancio (quindi sociali) di tutti i paesi europei, fosse improvvisamente, secondario. «Tutte le agenzie di rating hanno subito un grave danno di immagine e reputazione durante la crisi», ha detto ieri il presidente della Bce Mario Draghi. Nel settore del rating »non c’è concorrenza« e qualsiasi cosa per cambiare questa situazione sarà  «benvenuta». Di più: «bisognerebbe «imparare a vivere senza le agenzie di rating» o almeno «imparare a fare meno affidamento» sui loro giudizi. 
Lo pensavamo anche noi, mentre Draghi e molti altri li usavano invece contro il «modello sociale europeo». Ora, però, ci sembra che questa «scrolata di spalle» davanti alle stesse agenzie sia motivata da una ragione profonda: S&P e Moody’s hanno messo sotto accusa proprio la «cura» che Draghi & co. stanno somministrando al Continente: «solo rigore, niente crescita, non andate da nessuna parte». Fin qui le agenzie erano il «termometro» ritenuto preciso e indispensabile. Ma se non dà  le risposte desiderate, si rompe il termometro. Un tocco di stregoneria sul cielo di Francoforte.


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