Quote rosa, la «truffa» che ferma il Tar

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L’hanno già  ribattezzata l’«ordinanza-porcata». L’ha firmata ieri il sindaco Gianni Alemanno per fermare la seconda sentenza del Tar che con ogni probabilità  tra pochi giorni – il 25 gennaio – avrebbe di nuovo bocciato la sua giunta che, con sole due donne, non rispetta l’equilibrio numerico di genere previsto dallo stesso statuto del Comune di Roma. Un gioco di prestigio, et voilà : sciolto l’esecutivo capitolino, viene rinominato con gli stessi componenti attuali e con un paio di deleghe in più alle due assessori donna. 
Per la vicesindaco Sveva Belviso – responsabile del «piano nomadi», dei rapporti col garante dei detenuti, del miglioramento della sicurezza sul lavoro e della promozione della salute – è stata coniata una delega bis: il coordinamento generale delle politiche sociali e della sicurezza, per affiancare il consigliere Pdl, Giuseppe Ciardi, delegato alle politiche securitarie. Mentre l’ex presidente giallo-rosso Rossella Sensi, entrata in giunta col solo compito di promuovere la candidatura olimpica della Capitale, avrà  anche le deleghe per il nuovo assetto istituzionale di Roma Capitale, le relazioni internazionali, la definizione e la verifica degli indirizzi gestionali di Roma City Investment, l’Agenzia per lo sviluppo territoriale.
Una «truffa e un affronto a tutte le donne», secondo le consigliere Monica Cirinnà  (Pd) e Gemma Azuni (Sel) che per la seconda volta hanno fatto ricorso al Tar, dopo aver ottenuto nel giugno 2011 una sentenza di condanna che costrinse Alemanno a cercare una seconda donna, da nominare assessore, tra le correnti e le cordate del centrodestra romano. «Siamo al limite dell’abuso d’ufficio», avverte la capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. 
Ma il sindaco si difende: non un’«ordinanza-truffa» ma la dimostrazione di «quanto la componente femminile sia qualitativamente valorizzata dentro la nostra giunta». Il resto «sono illazioni estemporananee di chi deve vedere sempre dietrologie strane». Eppure Alemanno non nasconde l’augurio che la sua ordinanza «porti anche a una scelta di disponibilità  da parte di chi ha presentato il ricorso, perché manca un anno e tre mesi alla fine della legislatura, abbiamo un vicesindaco donna e un altro assessore che ha delle deleghe importanti e credo che questa vicenda potrebbe anche essere chiusa. Se continuerà  affronteremo i diversi gradi di giudizio».
Un percorso inevitabile, a quanto pare, visto che Cirinnà  e Azuni hanno già  dato mandato ai loro legali di «proporre motivi integrativi del ricorso». «Il Tar dovrà  ricominciare da capo -spiega Cirinnà  – perderemo un altro paio di mesi, ma non creda, Alemanno, di poter risolvere così la questione». «È mai possibile che in tutta Roma non esistano donne in grado di ricoprire il ruolo di assessore?», si domanda la finiana Flavia Perina. In effetti, però, la questione non riguarda solo la giunta: basti pensare che in Consiglio siedono solo tre donne. «Una caserma», l’aveva ribattezzato Andrea Alzetta (Atcion) quando entrò per la prima volta nell’Aula capitolina. «È un problema dei partiti, a cominciare dal Pd – ammette Monica Cirinnà  – che si risolve solo modificando la legge elettorale e inserendo la doppia preferenza di genere».


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