Pressing di Monti sulla Germania “Su Bce e Fondo cambierà  posizione”

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BRUXELLES – L’Italia resta in mezzo al guado. La battaglia perché l’Unione “copra” la manovra e le riforme che Mario Monti sta sfornando a Roma è ancora lunga. Con il rischio che, come certificato dall’Fmi, senza uno scudo continentale i sacrifici italiani possano non bastare. I segnali sono incoraggianti, le misure del governo in Europa sono apprezzate e lo spread è in calo, ma l’Italia resta in una situazione di emergenza. «I mercati hanno capito che a livello interno e in Europa c’è un lavoro serio per recuperare credibilità  e fiducia, ma la strada è ancora lunga», ammette un ministro vicino a Monti. 
Le prossime tappe del negoziato Ue sono scandite dai vertici di Bruxelles: quello di lunedì e quello di marzo. Entrambi cruciali. Tra cinque giorni i leader dovrebbero siglare l’accordo politico sul fiscal compact, le nuove regole di bilancio volute da Angela Merkel. Uno spartiacque superato il quale le cose potrebbero cambiare. Lo ha ammesso lo stesso Monti. «Le posizioni dei soggetti in gioco sono suscettibili di variazione al verificarsi di un accordo sul fiscal compact». Insomma, dopo che l’Unione fiscale sazierà  i rigoristi tedeschi, la Merkel potrebbe concedere le armi necessarie a mettere in sicurezza l’euro. A partire da più soldi per il fondo salva-Stati permanente (Esm). Idem sul ruolo della Bce: da settimana prossima Monti crede che «si possa assistere ad una evoluzione». Difficile che si apra un dibattito per trasformare l’Eurotower in un prestatore di ultima istanza come la Fed, ma la speranza è che Draghi sia lasciato libero di rastrellare titoli di Stato. Nei negoziati sul fiscal compact fino a lunedì Monti terrà  la guardia alta per evitare colpi di mano rigoristi, con la Germania che non ha rinunciato all’idea di inserire sanzioni per chi ha un debito eccessivo. Poi l’Italia partirà  alla carica sullo Esm. L’altro ieri i ministri delle Finanze a Bruxelles si sono accordati su una struttura che soddisfa Palazzo Chigi: decisioni rapide e senza diritti di veto per salvare un Paese in difficoltà , possibilità  di soccorrere le banche in crisi, 500 miliardi minimi di dotazione ed entrata in servizio del fondo allo scoccare di 12 ratifiche, anche prima di luglio. Restano però da negoziare i punti cruciali: raddoppio delle munizioni, governance e licenza bancaria per il fondo. Quelle armi che per Roma – impegnata in una lunga serie di aste di titoli di stato – potrebbero fare la differenza tra un nuovo mezzo fallimento e la creazione di un vero bazooka europeo anti-crisi. Si deciderà  a marzo. La Merkel finora ha detto di no a chi chiedeva di dotare l’Esm di 1000 miliardi. Ieri ha anche smentito di essere pronta a portarlo a 750. Una cifra che per Fmi e governo italiano potrebbe bastare a far allontanare gli speculatori, Monti argomenta che se il Fondo sarà  forte «è molto probabile che i suoi soldi non debbano mai essere sborsati». La sua stessa presenza placherebbe i mercati. Come lui è ottimista un altro ministro presente all’Eurogruppo: «Le dichiarazioni pubbliche che piovono da Berlino intorno al tavolo negoziale non vengono ripetute, anzi si tratta». Se Bce ed Esm servono a salvare l’euro, per Monti ci vogliono anche misure che diano nuovo slancio alla crescita. Proprio in queste ore si negoziano le conculsioni del summit di lunedì, con Palazzo Chigi che cerca di far inserire un paragrafo che incarichi Bruxelles di scrivere un pacchetto di regole su mercato unico e liberalizzazioni che accompagnino a livello continentale le riforme interne


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