Banca Mondiale, Bill Gates favorito sfiderà  Geithner e Hillary Clinton

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New York- Quando Mario Monti riceverà  Bill Gates domani pomeriggio a Palazzo Chigi, potrebbe avere di fronte il prossimo presidente della Banca mondiale. Il nome di Gates da ieri è schizzato in vetta al toto-nomine per la guida della World Bank, dopo l’annuncio che non si ricandiderà  per un secondo mandato l’attuale presidente Robert Zoellick. Tocca all’Amministrazione Obama, in base alla tradizione, designare anche il prossimo presidente (Zoellick era stato insediato da George Bush). Il fondatore della Microsoft ha molte carte in regola. La più importante è la sua “seconda professione”: dopo avere lasciato le redini della Microsoft, l’uomo più ricco degli Stati Uniti si è reinventato una vocazione come imprenditore-filantropo, applicando i metodi del management più moderno per gestire con efficienza i fondi per la lotta alla malaria e altri progetti nei paesi poveri. 
E’ proprio questo uno dei settori di attività  della Banca mondiale, nata nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods come gemella complementare del Fondo monetario. Se il Fmi si occupa di stabilità  monetaria e macro-equilibri finanziari, la World Bank investe nelle politiche di sviluppo. A favore di Gates gioca anche la sua evidente simpatia per Obama e l’inclinazione progressista: come Warren Buffett, anche il fondatore di Microsoft ha ripetutamente denunciato le diseguaglianze e appoggiato una tassazione redistributiva come quella proposta dalla Casa Bianca. Ma il rivale più agguerrito nella corsa alla Banca mondiale potrebbe essere un personaggio ancora più vicino a Obama: Hillary Clinton. L’attuale segretario di Stato ha già  annunciato da tempo che non intende farsi un secondo mandato alla guida della politica estera Usa, in caso di rielezione di Obama. Alla Banca mondiale Hillary porterebbe una capacità  politica indiscussa, oltre al suo formidabile network di relazioni. Sarebbe anche la prima donna a guidare questa istituzione, creando così una formidabile “coppia rosa” con la francese Christine Lagarde che dirige il Fmi. Unico handicap: la scarsa dimestichezza della Clinton con la finanza. Resta poi da verificare se l’interessata abbia voglia di assumere un altro incarico a tempo pieno, dopo quattro anni di stress logorante, a girare per il mondo come segretario di Stato. Gli altri nomi che circolano sono più scontati, ma anche più controversi. Nel toto-nomine figurano l’attuale segretario al Tesoro Timothy Geithner, il suo predecessore Larry Summers, e Robert Rubin che ebbe la stessa carica nell’Amministrazione Clinton e poi fu consigliere di Obama per il programma economico nella campagna elettorale del 2008. Tre esperti di finanza: anche troppo. Il problema di questo trio è la loro contiguità  con il mondo di Wall Street (Rubin addirittura come banchiere, sia di Goldman Sachs che di Citigroup), la loro omogeneità  con il “pensiero unico” neoliberista che li rende indigesti ai paesi emergenti. 
Ed è proprio dalle nazioni emergenti che potrebbe venire qualche sorpresa. Già  in occasione della nomina di Christine Lagarde al Fmi ci fu una protesta dai Bric (Brasile Russia India Cina). Il fatto che il Fmi “spetti” a un europeo e la World Bank a un americano, è solo una consuetudine in vigore dalla nascita di queste istituzioni. Mal si concilia però con il peso crescente delle nazioni emergenti, sia nell’economia globale che nello specifico di queste istituzioni di governance sovranazionale. Nel caso del Fmi, la velocità  con cui si dovette trovare un sostituto a Dominique Strauss-Kahn travolto dallo scandalo, giocò in favore della candidata europea perché gli emergenti non fecero in tempo a costruire una loro coalizione unita dietro un singolo candidato. Può darsi che per la Banca mondiale i Bric e i loro alleati arrivino più preparati alla scadenza. Il tempo c’è: la nomina andrà  decisa al “meeting di primavera” che si tiene ogni mese di aprile a Washington. Tra i possibili candidati delle potenze emergenti si segnalano l’economista indiano Montek Singh Ahluwalia, l’ex ministro delle Finanze turco Kemal Dervis, e l’ex banchiera centrale indonesiana Sri Mulani Indrawati, un’altra donna. A sette mesi dalle elezioni però Obama farà  di tutto per evitare che la Banca mondiale passi a un non-americano: la destra repubblicana altrimenti ne farebbe un caso politico accusandolo di subire il declino dell’influenza Usa nel mondo.


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