Intrappolati nella violenza di stato

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Si curano le ferite e si rilancia la protestaIeri era la giornata dedicata alla cura delle ferite e a riflettere su come rilanciare la protesta, alla ricerca di una risposta capace di offrire uno sbocco nell’immediato guardando lontano. L’assemblea convocata a Bussoleno per le 18 ha dato le prime risposte. Convocata inizialmente al salone polivalente viene spostata nell’antistante piazza del mercato. Alle 17 c’è già  un sacco di gente in giro: la rabbia è tanta, ma c’è anche consapevolezza che la ragione deve prevalere sulla tentazione di dare risposte emotive alla pesante aggressione subita ieri, l’ultima della serie. Che ha lasciato sul campo numerosi feriti e ha aperto nuove ferite.
L’assemblea si apre ricordando il ragazzo di Bussoleno arrestato e il suo carattere mite e dolce: la sua fragilità  gli ha impedito di schivare i manganelli e tutto il resto. Bussoleno per lui è come una famiglia e gli sarà  vicino. Nel raccontare i fatti di ieri si parla di brutale aggressione fascista, e si afferma che contro l’arroganza, la prepotenza e la subordinazione ai poteri forti c’è l’ amore per la vita di un popolo, il suo essere comunità  e c’è la vicinanza di tanti che ci mostrano solidarietà  concreta. Con questa forza non potremo che vincere.
Una signora ultrasettantenne che ha respirato i gas e assaggiato i manganelli dice che ha avuto una paura folle, che si sente sicura quando ha la sua gente intorno e ieri era terrorizzata perché circondata da nemici, da veri carnefici. Qualcuno ricorda che tolgono fondi alle pensioni, agli ospedali, alla scuola e fanno il Tav e promette che noi non torneremo a casa, non molleremo. Gli risponde un coro: «Giù le mani dalla Valsusa» e «Luca Luca….». Qualcuno promette di riprendere uno sciopero della fame e invita tutti a fare altrettanto. Chi ricorda che mettendo in campo le nostre ragioni siamo sempre riusciti a mettere in difficoltà  gli avversari invita a continuare la lotta con iniziative articolate su più fronti; qualcun’altro ricorda che la nostra è una battaglia lunga e dovremo mettere tutte le nostre energie fino a quando ritirano il progetto e propone uno «sciopero generale di valle» la prossima settimana. I sindacati di base lo sosterranno senz’altro. C’è anche chi si chiede se abbia senso porgere sempre l’altra guancia. 
L’assemblea si chiude con due proposte, accolte all’unanimità  dal migliaio di persone presente in piazza e subito messe in pratica: un corteo parte subito da Bussoleno e si dirige verso l’autostrada per rientrare poi a Bussoleno; nello stesso tempo verrà  attuato un nuovo blocco, questa volta nell’alta valle. 
«Non finirà  certo questa notte, potete scommetterci»: si chiudeva con queste parole la cronaca della notte precedente chiusa un po’ troppo in fretta e anticipatamente. Un sacrificio imposto dalla necessità  di scegliere se raccontare ciò che altri stanno vivendo in prima persona o vivere direttamente ciò che poi si potrà  raccontare. La previsione però era azzeccata, e vale la pena di spendere qualche parola per descrivere ciò che spesso fa la differenza tra la verità  dei fatti e una loro rappresentazione distorta e interessata. 
Dopo le violente cariche di mercoledì sera era partita una caccia all’uomo nelle strade che a molti ricordava Genova 2001. Alla successiva assemblea era stato detto che non può essere questa la normalità , che non può essere normale e accettabile tutto questo. 
Per le strade di Bussoleno ieri chi si incontrava arricchiva il quadro di nuovi episodi che chi non aveva vissuto stentava a credere. L’anziano No Tav che rincorreva una gallina scappata dal suo orto mentre era intento a dare indicazioni ad una troupe televisiva si ritagliava in qualche modo un frammento di quella normalità  invocata nell’assemblea. Ma non può bastare, siamo lontani dalla normalità : la militarizzazione si è estesa e gli accessi all’autostrada sono presidiati da decine di blindati mentre qua e là  spuntano posti di blocco.
Per cogliere il senso delle proposte emerse dall’assemblea e rafforzare il nostro sistema immunitario dagli attacchi di chi dichiara che «la violenza deve finire, non è tollerabile che una protesta legittima si trasformi in aggressione alle forze dell’ordine e allo stato; occorre isolare gli estremisti, il tempo del dialogo è finito, la protesta No Tav è in mano agli anarco-insurrezionalisti», vale la pena di tornare su alcuni piccoli-grandi fatti di mercoledì dimenticati dai media.
Al momento dello sgombero dell’autostrada prima del tramonto il gruppo rimasto “intrappolato” tra i manganelli e i lacrimogeni aveva in realtà  scelto deliberatamente di farsi intrappolare con le mani alzate e a volto scoperto. Una quarantina di persone di ogni età , in prevalenza della valle ma non solo, invece di mettersi da parte cercando di scansare i lacrimogeni aveva scelto di rischiare le botte e di essere gasati restando seduti in mezzo all’autostrada. Come siano poi state fatte sloggiare lo avrete visto nei video che circolano in rete, e soprattutto avrete visto cosa è successo un’ora dopo quando il buio ha consentito maggiore libertà  di manovra a chi doveva fare il lavoro sporco.
Tra chi aveva scelto l’insolito picnic in autostrada c’erano anche loro, i cosiddetti anarco-insurrezionalisti, e tra questi anche il cattivissimo Marco messo alla gogna in tv mentre definisce «pecorella» un carabiniere il giorno precedente. Scrive in un messaggio Maurizio, un amico valsusino che meglio di chiunque altro conosce la valle, ne interpreta gli umori e riesce a trasmettere i sentimenti provati dalla gente: «Chi è Marco? E’ un padre di famiglia di un magnifico bimbo di 2 anni, un lavoratore che non si risparmia e un No Tav valsusino da sempre. Nella pausa pranzo di martedì corre insieme a tanti altri a Chianocco per tentare di resistere al migliaio e più di forze dell’ordine che sgomberavano l’autostrada. La rabbia è tanta ma Marco non perde la testa, non fa gesti inconsulti, scarica la sua rabbia con qualche parola rivolta a chi in quel momento sta calpestando per l’ennesima volta la dignità  di una popolazione, invadendo in modo violento la Valle dove Marco è nato e cresciuto. E’ un attimo, le tv riprendono la scena e le parti si invertono: il poliziotto armato diventa la vittima che riceverà  un encomio solenne a volto coperto e il carnefice il manifestante a volto scoperto e disarmato. L’unico spezzone trasmesso in tv è quello della sacrosanta rabbia, poi però Marco parla per dieci minuti con l’uomo armato, in modo tranquillo e pacato, fino a quando lo saluta per tornare a lavoro (a stomaco vuoto) dicendogli «…comunque vi voglio bene lo stesso». Questo però nessuna tv l’ha fatto vedere. 
La violenza non sarà  tollerata. Punto. L’opera deve andare avanti. Punto. Sono le dichiarazioni della ministra Cancellieri a cui fanno eco i politici di sempre. Il dialogo è servito: o mangi questa minestra o salti dal traliccio. A proposito: Luca dimostra la stessa forza del suo movimento, più lo danno per spacciato e più si risolleva. I medici dicono che continua a migliorare e al 90% è fuori pericolo di vita. Tra sabato e domenica potrebbero svegliarlo dal coma farmacologico. Incrociamo le dita e lottiamo per lui.
La Stampa intanto riporta un’intervista a Sergio Cofferati che dice, testuale: «E’ incomprensibile e preoccupante che per difendere le proprie convinzioni si metta a rischio la vita: e non di fronte a violazioni della libertà  o alla negazione di diritti democratici, ma per un atto materiale come la costruzione di una ferrovia». Sono in tanti purtroppo incapaci di cogliere il nesso tra le due cose e non occorre scomodare Primo Levi per chiedersi se questo è un uomo: dovendo scegliere tra Luca e Cofferati non abbiamo dubbi. Forza Luca.


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