Romney vince perché non perde: avanti piano

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Romney non è il nuovo Ronald Reagan cercato affannosamente dai conservatori in tutti gli Stati uniti, ma ormai è sempre più vicino a ottenere la nomination repubblicana per sfidare Barack Obama a novembre. Il voto dell’Illinois è stato accompagnato tuttavia da scarso interesse, oscurato dalla storia dell’ex governatore democratico Rod Blagojevich, condannato a 14 anni per corruzione e che giovedì scorso ha cominciato a scontare la sua pena in un penitenziario del Colorado. Oltretutto Chicago è la città  di Obama.
Qua, in un grattacielo affacciato sullo sterminato lago Michigan e su Grant Park, dove nel 2008 il presidente celebrò la vittoria, ha infatti sede il quartier generale della sua campagna elettorale. Anche per questo motivo le primarie repubblicane hanno generato scarso entusiasmo fra i cittadini: lo Stato sembra già  vinto dai democratici per novembre. Non tutti però la pensano così. «Non mi piace per nulla Obama», ci spiega Ken, un quarantenne che lavora nel marketing sportivo, con in mano una copia arrotolata del National Review, principale magazine conservatore. Lo incontriamo alla Billy Goat Tavern, celebre ritrovo sotterraneo di politici, giornalisti e grandi bevitori a due passi dalla sede del Chicago Tribune, davanti a un hamburger e a due schermi che trasmettono una partita di hockey e il discorso con cui Santorum, a Gettysburg, in Pennsylvania, accoglie la sconfitta. «Quando Obama è stato senatore dell’Illinois non ha portato a termine nulla di buono». Per Ken l’unica soluzione è stata votare Romney. «Non mi entusiasma, ma non c’erano alternative». Le parole di Ken spiegano perfettamente la vittoria dell’ex governatore del Massachusetts, che continua ad accumulare delegati, ma sembra camminare lentamente verso la nomination invece di correre, senza convincere la base del partito. Vince perché non perde, notano alcuni media americani, ma intanto in Illinois ha ottenuto il 46,7% dei voti, contro il 35% del più conservatore Santorum, il 9,3% di Ron Paul e il misero 8% di Newt Gingrich. Nello Stato delle praterie Romney ha sfilato a Santorum anche il voto dei cattolici, come già  in Michigan, e per il religiosissimo senatore italo-americano questa è una batosta difficile da digerire. Non a caso diversi commentatori politici cominciano già  ad assegnare la nomination all’ex governatore, spiegando che è solo una questione di tempo. «L’unico vero dubbio», scrive Nate Silver sul New York Times, «è che Romney si possa in qualche modo sconfiggere da solo».
La campagna di Santorum non attecchisce al nord, nonostante in Illinois abbia conquistato il voto dei giovani non laureati, degli evangelici e di coloro che guadagnano meno di 50.000 dollari all’anno, ma al sud trova un terreno più fertile ed entusiasma la gente. Sabato dovrebbe riuscire infatti a vincere in Louisiana, almeno secondo gli ultimi sondaggi. Ieri però Romney aveva parecchi motivi per festeggiare. Oltre alla solida vittoria in Illinois, lui e sua moglie Ann hanno celebrato i 43 anni di matrimonio e ha ottenuto uno degli endorsement più ambiti del partito repubblicano, quello dell’ex governatore della Florida Jeb Bush, che ha così fugato ogni dubbio su una sua discesa in campo. Lo stato attuale dei delegati: Santorum 249, Romney 562.


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