Il mondo di pericoli in un ritratto

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Paesaggi e ritratti per lui sono quasi la stessa cosa. Nel solco dell’aratro che scava un campo, nella ruga che disegna un volto, non cerca la verità  fotografica, ma il mistero dell’anima. 
Tullio Pericoli espone una cinquantina di paesaggi e ritratti recenti (2008-2012) alle Cartiere Vannucci di Milano. Il titolo della mostra, Moby Dick, glielo ha suggerito un amico disegnatore, Domenico Rosa. «Dice che quando guarda i miei paesaggi gli sembra di intravedere un grosso animale che si muove sotto il terreno e dà  forma alla superficie». I paesaggi sono quelli marchigiani dell’infanzia: Le colline di fronte (titolo della sua biografia, scritta da Silvia Ballestra, edita da Rizzoli) al piccolo borgo antico di Colli del Tronto, dov’è nato nel 1936. «Il più classico dei paesaggi italiani» secondo Piovene. «Dolci declivi ricoperti di appezzamenti che sembrano cuciti assieme tanto s’alternano le vigne, i campi lavorati, le macchie, i boschi, i fossi, le vallette tra i poderi» si commuove Ballestra, marchigiana pure lei. Pericoli vive a Milano dal 1961 (bussò alla porta del Giorno con in tasca una lettera di Zavattini, stupito dai suoi disegni), ma quel paesaggio gli è rimasto nel cuore. Lo ritrova ogni estate, “sedendo e mirando” come Leopardi i suoi colli infiniti. E ogni anno, da molti anni, rientrato a Milano, lo dipinge. 
I primi quadri erano fiabeschi, sereni. Questi sono più aspri, malinconici. Anche i titoli riflettono inquietudine: Terra bruciata, Terre perse, Falsi orizzonti. La tavolozza è dominata dai bruni e dai grigi, accesi da rare oasi di giallo, verde, rosso. Il cielo non si vede quasi mai. La tecnica ricorrente è matita e olio su tela. La matita incide, l’olio accarezza. In Perdita d’occhio sperimenta l’affresco intelato. Stende sulla tela un doppio strato di intonaco: il primo nero, il secondo bianco. Poi con la matita “ara” il bianco fino a ritrovare il nero. Quindi completa il quadro coi colori. L’esito estetico oscilla tra figurazione e astrazione. 
Una seconda sala è destinata ai ritratti, la sua specialità  già  dai tempi del liceo, quando disegnava strepitose caricature dei prof. Qui sfilano l’immancabile Samuel Beckett («la sua faccia è la mia palestra di esercizio»), Testori, Pasolini, Franco Loi, Carlo Caracciolo. Ma la sorpresa è la serie di “ritratti di autoritratti” di Rembrandt. «Ho imparato a disegnare sulle sue incisioni. Mi sorprende per l’accuratezza e la spietatezza con cui sa guardare se stesso nelle diverse età  della vita». In apertura di catalogo (Lubrina) Pericoli ha voluto una lunga citazione di Nietzsche (da Umano, Troppo Umano). Si chiude così: «Il sole è già  tramontato, ma il cielo della nostra vita arde e risplende ancora di esso, sebbene non lo vediamo più».


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