Ue, la Commissione detta le regole per il diritto alla pensione dei migranti

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BRUXELLES – Molti lavoratori europei trascorrono parte della loro carriera al di fuori del proprio paese d’origine, aiutati anche dalle norme europee che facilitano questa mobilità  coordinando tra loro i vari sistemi nazionali di sicurezza (previdenza) sociale, a protezione dei diritti individuali. Al contrario, i cittadini di paesi terzi rappresentano appena il 4% della forza lavoro degli Stati membri ed hanno ancora molte difficoltà  a far valere i propri diritti previenziali quando migrano in Europa. Il Coordinamento europeo della sicurezza sociale è infatti uno strumento efficace all’interno dell’Unione, ma estremamente frammentato quando si tratta di proteggere i cittadini migranti del resto del mondo. Per questo motivo la Commissione europea ha pubblicato e diffuso oggi una comunicazione per chiarire i diritti di sicurezza sociale per le persone che migrano da e verso l’Unione. Esso mira a proteggere meglio i diritti dei lavoratori e, in particolare, i diritti pensionistici acquisiti.

Tra l’Ue e il resto del mondo esistono oggi due modi di coordinare i sistemi nazionali di sicurezza sociale. Uno è l’approccio nazionale: gli Stati stipulano delle convenzioni bilaterali con alcuni paesi terzi. Quest’approccio, secondo la Commissione europea, è particolarmente disomogeneo e frammentato: tra alcuni paesi non esistono convenzioni anche se i flussi migratori sono importanti (ad esempio tra Italia e Albania), e quando esistono hanno spesso contenuti e modalità  diverse. La Commissione europea mette con questa comunicazione l’accento sul fatto che la legislazione europea è superiore a quella nazionale e che ogni situazione “transfrontaliera” è una competenza esclusiva ell’ue, anche su materie di specifica competenza nazionale, come appunto le pensioni.

I migranti, ma anche le imprese, dei paesi terzi, che guardano all’Europa come a un’entità  unica, devono fare i conti – dice ancora la Commissione europea – con 27 sistemi di sicurezza sociale differenti, che creano ostacoli e difficoltà  quando si tratta di stabilirsi e di circolare all’interno dell’Ue. Secondo la Commissione occorre, da un lato, rafforzare le regole di cooperazione tra l’Ue e i paesi terzi, e dall’altro spiegare meglio, ai lavoratori e alle imprese dei paesi terzi ma anche alle istituzioni nazionali degli Stati membri, in che modo le regole attuali possono già  garantire molti diritti individuali.

Un altro strumento giuridico importante è il regolamento 1231 del 2010, entrato in vigore il 1 gennaio 2011, che conferisce ai cittadini dei paesi terzi che abbiano risieduto legalmente in almeno 2 stati membri, gli stessi diritti alla sicurezza sociale dei cittadini Ue. Si tratta dell’unicità  della legislazione applicabile: i lavoratori sono soggetti alla legislazione di un solo Paese, generalmente quella del paese dove esercitano l’attività  professionale (vi sono tuttavia delle eccezioni, ad esempio, per i lavoratori distaccati); l’uguaglianza di trattamento: è la garanzia che una persona che risiede sul territorio di uno Stato membro sia soggetta agli stessi doveri e benefici degli stessi diritti, dei i cittadini nazionali di tale Stato membro. E ancora, la conservazione dei diritti acquisiti: il coordinamento assicura la possibilità  di “esportare” le prestazioni in denaro della sicurezza sociale cui la persona aveva diritto già  prima di spostarsi in un altro paese. (Per fare un esempio, il coordinamento garantisce ai pensionati la possibilità  di trasferirsi in un altro paese continuando a beneficiare delle prestazioni economiche cui si aveva diritto nelo Stato membro di origine); la conservazione dei diritti in corso di acquisizione: in altre parole, la possibilità  di cumulare i periodi assicurativi, di residenza o di lavoro, maturati in uno Stato membro, ai fini della determinazione di un diritto in un altro Stato membro.

Il rapporto della Commisione cita, ad esempio, la famosa “sentenza Gottado”, emessa nel 2002 dalla Corte di giustizia europea. Secondo questa sentenza, gli Stati che hanno concluso con un paese terzo una convenzione bilaterale basata sulla nazionalità  devono adattare la propria giurisprudenza sopprimendo il vincolo della nazionalità , affinché anche i cittadini di altri Stati membri possano approfittare delle medesime condizioni. Il pacchetto proposto dalla Commissione comprende anche una più stretta cooperazione in materia di sicurezza sociale con quattro paesi: Albania, Montenegro, San Marino e Turchia in modo da poter concedere automaticamente ai lavoratori di questi paesi residenti nell’Unione, il diritto alla parità  di trattamento in settori specifici della sicurezza sociale, l’esportazione dei diritti pensionistici già  acquisiti. (Carlo Caldarini)

 

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