Le condizioni del Front de guache
Jean-Luc Mélenchon, 61 anni, eurodeputato, ex socialista di origini trotzkiste che è stato ministro nel governo Jospin, ha già detto chiaramente che «non parteciperemo a un governo che non si inscrive chiaramente in una politica di rottura».
Mélenchon è stata la grande sorpresa delle presidenziali del 2012: ha riempito le piazze e fatto scuola, seguito da Hollande e Sarkozy, con questo nuovo metodo di campagna en plein air. È alla testa di una coalizione di partiti e piccole formazioni, di cui fa parte il Pcf, che per la prima volta nella sua storia non presenta alle presidenziali un candidato che esce dai suoi ranghi. Mélenchon ama parlare, cita i grandi della storia della sinistra, non disdegna di far ricorso alla retorica. Incita: «prendete il potere», per mettere «l’umano al primo posto». Dice basta a una società dove la finanza domina tutto, anche i valori, si presenta come l’anti-bankersters. La destra lo accusa di «populismo», solo perché guarda con preoccupazione il ritorno della politica nelle classi popolari: era da anni che il «popolo» non si faceva vedere, che non osava prendere la parola, dire ad alta voce quale è il «sogno» di una civiltà che rispetti tutti.
Il sogno di Mélenchon è di arrivare almeno al terzo posto, di superare Marine Le Pen e l’estrema destra. Al ballottaggio, i suoi elettori voteranno in maggioranza per Hollande. Mélenchon avrà dimostrato che il «popolo» non è perso per sempre dalla sinistra. Questo voto avrà un’incidenza sulla linea di Hollande, in caso di vittoria: sul piano dei valori, Mélénchon ha dimostrato che non è assurdo nel XXI secolo parlare di collaborazione invece che di concorrenza, di solidarietà , di giustizia sociale, di redistribuzione.
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