Il parlamento europeo dà il via libera alla Brexit

Il parlamento europeo dà il via libera alla Brexit

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Venerdì 31 gennaio, a mezzanotte (ora di Bruxelles): la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord escono dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica, in applicazione dell’articolo 50 dei Trattati della Ue. La Commissione ha già firmato l’Accordo di ritiro il 24 gennaio, l’Europarlamento ha votato ieri (a favore, senza sorprese, in commissione Affari costituzionali l’accordo era passato ad ampia maggioranza, 23 voti contro 3, britannici remainers), il Consiglio approverà a ruota il 30 con una procedura scritta. L’Ue ha già nominato un ambasciatore a Londra, Joao Vale de Almeida, che si insedierà il 1° febbraio.

NON C’È STATA IERI nessuna cerimonia protocollare per questo momento unico nella storia della Ue, è difatti la prima volta che un paese se ne va dall’Unione: dopo 47 anni, sono state ritirate le bandiere della Gran Bretagna, 15 in tutto (una è conservata per il Museo della Storia europea di Bruxelles). I brexiters avrebbero voluto una celebrazione più formale, ma si sono dovuti accontentare di una corta cerimonia, dopo il voto all’Europarlamento, dove sono stati invitati gli ormai ex europarlamentari britannici e i capi gruppo, in un clima di tristezza e di emozione. Qualche momento di commozione in quasi tutti i gruppi, per un bicchiere dell’amicizia. Un canto d’addio nell’aula – Auld Lang Syne, ballata scozzese di Robert Burns, che significa «non è che un arrivederci» – prima del voto finale (621 per, 49 contro) e le sciarpe «always united» sollevate al cielo a fare da coreografia.

Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha parlato di «ferita per noi». Per S&D, è «un triste momento per la storia condivisa di Gran Bretagna e Ue, un momento che speravamo non arrivasse mai». Il negoziatore Ue, Michel Barnier, ha ricordato ancora che è «assolutamente chiaro che ci saranno conseguenze negative, qualunque sia l’accordo che attendiamo per la nostra futura relazione, la Brexit sarà sempre un’operazione che mira a limitare i danni». «We will be back» è la frase ripetuta da molti eurodeputati britannici nel dibattito di ieri. «Non un addio ma un arrivederci», vuole credere il deputato belga di lungo corso Guy Verhofstadt.

PER ORA, È SOLO una separazione, in attesa del divorzio vero e proprio, che avverrà il 31 dicembre, sempre che Londra non chieda (entro il 1° luglio) una proroga del periodo di transizione, cosa che per il momento il premier Boris Johnson ha escluso categoricamente. La separazione sarà “ordinata”, perché tutto è stato disposto dall’Accordo di ritiro, anche se questo non vuol dire che sarà evitato il rischio di no deal, un’uscita disordinata alla fine del periodo di transizione. Anche se alcuni punti sono già chiariti sulla relazione futura: lo statuto particolare dell’Irlanda del Nord, che resterà nell’Unione doganale e la continuità del mercato dei beni in stock. Per i cittadini, i diritti acquisiti dai singoli (i residenti di oggi) resteranno validi, anche se c’è inquietudine e incertezza.

DA DOMANI, alcune cose cambiano per sempre. Si tratta di elementi istituzionali: la Gran Bretagna non essendo più paese membro già non ha un commissario nella Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, ormai non parteciperà più al Consiglio e i suoi 73 europarlamentari lasciano liberi i seggi, 27 dei quali sono redistribuiti entro 14 stati membri, secondo un principio di “riequilibro” demografico (i restanti 46 restano a disposizione per i prossimi allargamenti e per un’eventuale elezione nel futuro di deputati transnazionali). Da subito, la Gran Bretagna non ha più la leadership di missioni di difesa.

Sulla base della Dichiarazione politica sottoscritta dalla Ue e dalla Gran Bretagna nell’ottobre 2019, la Commissione adotterà il 3 febbraio un progetto di direttive per aprire il negoziato di divorzio, che i paesi membri dovranno approvare entro il 25 febbraio. Nel periodo di transizione la Gran Bretagna non partecipa più ai processi di decisione della Ue, ma deve applicarne le norme, cioè nulla cambia fino a fine anno per i cittadini, i consumatori, le imprese, gli affari, gli studenti e i ricercatori (anche per la pesca, settore foriero di forti tensioni, non c’è cambiamento immediato, gli europei possono continuare a pescare nelle acque britanniche nel periodo di transizione). La Corte di giustizia resta competente.

Ma in questa Dichiarazione politica c’è anche la volontà della Gran Bretagna di annullare la libera circolazione delle persone (che significa l’uscita dal mercato unico), cosa che apre una grande incognita sulla situazione alla fine dell’anno dei cittadini della Ue che vogliono risiedere in Gran Bretagna. «Il primo motivo dei brexiters era di mettere fine alla libertà di circolazione delle persone nella Ue» ricorda Michel Barnier.

DA MARZO, POTRÀ INIZIARE il negoziato del divorzio, due task force – quella dei 27 e quella della Gran Bretagna – si faranno fronte. Con forze ineguali, malgrado le fanfaronate di Boris Johnson: il 9% del commercio dell’Unione europea è con la Gran Bretagna, mentre per Londra le esportazioni verso la Ue sono il 47% (e il 50% dell’import, a cominciare dagli alimentari). Il trattato internazionale che ne uscirà dovrà poi venire ratificato dalle istituzioni Ue e da 42 Parlamenti (nazionali e regionali). La Ue vorrebbe arrivare entro fine anno a un accordo globale (che comprenda anche la questione della sicurezza), “senza tariffe, senza quote”, ma questo obiettivo potrebbe essere difficile da raggiungere e i 27 dovranno forse accontentarsi di accordi parziali per evitare un cliff edge complessivo.

Con il divorzio, Londra cancella automaticamente 600 accordi internazionali, dalla convenzione sull’estradizione alla cooperazione contro la cybercriminalità o la regolamentazione del traffico aereo. C’è una quarantina di accordi commerciali della Ue che dovranno essere sostituiti: Londra ha diritto di cominciare a negoziare (con gli Usa, per esempio), ma l’applicazione di un eventuale accordo non potrà avvenire durante il periodo di transizione.

LA UE VUOLE EVITARE soprattutto un rischio, avere «un concorrente alle porte», come ha riassunto la cancelliera Angela Merkel. «Non avere alle nostre porte un vicino diventato campione della concorrenza sulle norme a tutti i livelli, fiscale, sociale, ambientale, – sottolinea Barnier – milioni di posti di lavoro sono in gioco in Europa». La fiducia reciproca dovrà mantenersi, tanto più che la Ue delega i controlli sulle merci che entrano in Irlanda del Nord alla Gran Bretagna (anche se potrà mandare dei doganieri a verificare) e poi questi prodotti potranno circolare liberamente nella Ue, visto che non ci sarà frontiera tra le due Irlande.

* Fonte: Anna Maria Merlo,  il manifesto



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