Il mistero della lettera del Papa a Raul Castro

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L’AVANA – Il Granma e il telegiornale della sera di venerdì scorso aprivano con la notizia di una «lettera di sua santità  Benedetto XVI inviata a Raàºl» Castro. Nella missiva, pubblicata integralmente dal quotidiano del partito comunista e letta per intero nel telegiornale, il papa ringrazia per «l’estrema attenzione» ricevuta nel corso della visita pastorale dello scorso marzo e auspica che «Cuba continui ad avanzare con decisione nel cammino della libertà , della solidarietà  e concordia». Il Vaticano ribadisce dunque l’appoggio alla linea praticata dal vertice episcopale dell’isola, di dialogo col governo cubano nell’ambito delle riforme economiche e sociali varate lo scorso anno dal sesto congresso del Pc.
La lettera in questione però, secondo fonti romane, sarebbe stata inviata in aprile. Perché dunque il vertice politico cubano ha deciso di renderla pubblica, e dandole tanto risalto, con un mese di ritardo? Alcuni analisti collegano questa volontà  di rendere pubblica la posizione del Vaticano con le forti critiche rivolte nelle ultime due settimane all’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega. Il cardinale è sotto il tiro sia della diaspora di Miami, sia di quella componente, anche cattolica, dell’opposizione-dissenso cubana che non ci sta a dialogare col governo, ma continua a proporre la linea dello scontro in nome della difesa dei diritti umani e con l’obiettivo di «abbattere il castrismo». 
La polemica si è fatta insolitamente dura dopo le dichiarazioni rilasciate dieci giorni fa a New York da Ortega, impegnato in una missione di «riconciliazione» tra i cubani che vivono nelle due sponde del Golfo del Messico. Il cardinale ha detto pari pari che il gruppo di militanti che qualche giorno prima dell’arrivo a Cuba del papa aveva occupato la centrale chiesa di Nostra signora della Carità  all’Avana per chiedere azioni in favore del rispetto dei diritti umani, erano «delinquenti» organizzati dal Partito repubblicano per Cuba, organizzazione sconosciuta ai più e avente sede a Miami . «Vi sono gruppi che danneggiano qualunque tipo di opposizione e dissidenza» aveva concluso l’arcivescovo dell’Avana, addossando la responsabilità  dell’azione agli anticastristi della Florida. 
Il fuoco incrociato sul cardinale ha coinvolto le Damas de blanco, le donne che continuano a marciare ogni domenica per chiedere la liberazione dei prigionieri di coscienza (mentre Ortega ha negato che attualmente vi siano detenuti politici a Cuba), la super bloguera Sà¡nchez («il silenzio delle catacombe meglio si adatterebbe alla Chiesa cattolica…») e Osvaldo Payà¡, leader del Movimento cristiano Liberacià³n, insignito dal Parlamento europeo del premio Sakharov per la difesa dei diritti umani, il quale ha affermato che «la vera pace e riconciliazione si può ottenere solo se si rispettano tutti i diritti dei cubani, su libertà  di espressione e associazione e si hanno elezioni libere». 
Payà¡ rappresenta -ed è sostenuto da- quella parte del clero, dei religiosi e del movimento laico legato alla Chiesa che si batte apertamente contro il socialismo voluto e costruito dai Castro. Si tratta della parte più «vecchia» anche in età  , di coloro, cioè, che sono nati e cresciuti prima della rivoluzione del ’59 e che l’hanno combattuta. Un’ala che è stata progressivamente emarginata dal cardinale Ortega, in favore di una nuova generazione -di prelati e laici- nata e cresciuta a Cuba dopo la rivoluzione. Di persone cioè che hanno imparato a confrontarsi e interagire con il socialismo cubano, sviluppando prima un’opposizione, poi un dialogo critico meno legato all’esterno (leggi Stati uniti) e con caratteristiche più nazionali. Il corrispondente della Bbc, Fernando Ravsberg, nel suo blog afferma: «Gli anticastristi di Miami e Cuba vedono con grande preoccupazione questo dialogo, che nel caso dia frutti, potrebbe lasciarli al margine delle future decisioni, con un appoggio assai ridotto e senza possibilità  di influire nel futuro disegno della società  cubana». Da qui la virulenza dei loro attacchi al cardinale Ortega, sostenuti dalla diplomazia statunitense.


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