VIAGGIO NELL’UTOPIA CON MARX E PUSKIN

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Dice: «Dove stiamo andando? Abbiamo un piano? Studiamo le società  ideali… potere ai tecnici, ai lavoratori, ai filosofi… la proprietà  è un diritto, la proprietà  è un furto… il male della concorrenza, il male del monopolio… la pianificazione centralizzata, nessuna pianificazione… casa per tutti, amore libero… e ognuna di queste idee è armoniosa, corretta, efficace. Ma c’è una domanda che nessun piano riesce a spiegare: perché mai qualcuno dovrebbe ubbidire a un altro?». Il dubbio è di Aleksandr Herzen, scrittore, filosofo, rivoluzionario russo dell’Ottocento, nostro contemporaneo. L’avrà  riportato da qualche parte nelle sue opere, ma adesso è qui a dirlo in un libro non suo. Che è anche un testo teatrale: La sponda dell’utopia, scritto una decina di anni fa da Tom Stoppard, drammaturgo inglese di origine ceca, già  autore di Guildenstern e Rosencrantz sono morti e Arcadia, sceneggiatore di Brazil e Shakespeare in love.
Diviso in tre parti, Viaggio Naufragio e Salvataggio, nove ore di allestimento, appena messo in scena a Torino e Roma dai teatri pubblici delle due città  con la regia di Marco Tullio Giordana, il testo, che è teatro puro, è anche pura letteratura. È romanzo, invenzione, architettura, mondo, racconto abitato da una folla di personaggi, un’ottantina almeno. E corrono gli anni, pieni di fermenti, dal 1833 al 1868. E cambiano orizzonti, paesi, città , Russia e Italia, tenute di campagna e traghetti, feste e fughe, prigione ed esilio, Mosca, San Pietroburgo, Berlino, Parigi, Nizza, Londra, Ginevra. Vivono e muoiono, discutono e agiscono uomini e donne che sono state la meglio gioventù russa.
La sponda dell’utopia, pubblicato da Sellerio con la traduzione fluida e piena di ritmo di Marco Tullio Giordana e Marco Perisse (396 pagine, 15 euro) ha il valore della buona letteratura. Come tutti i libri di letteratura è una mappa che restituisce il mondo, te lo spalanca davanti fatto di persone, gesti, pensieri, progetti, speranze, inganni, dolori. È un caleidoscopio che, mostrandola e illuminandola, ti fa vivere la vita: un’altra vita che non è la tua, ma poteva essere.
Le parole di Stoppard sono precise, vanno diritte allo scopo: si fanno azioni. Sono essenziali come i caratteri dei protagonisti. Raccontano fatti, ma ancora di più idee che si danno battaglia, si scontrano e ti chiedono di prendere posizione. Tutti i personaggi sono stati persone, vengono dalla realtà  storica: oltre a Herzen, profeta mancato senza più patria (ma la sua terra sono le idee); il focoso Bakunin, anarchico rivoluzionario con un debole per le ostriche e i sogni; Turgenev, lo scrittore; Belinskij, il critico letterario; Ogarev, il poeta; e le loro famiglie, padri, madri, sorelle, mogli, amanti, amici. E poi, l’intellighenzia appassionata, ribelle e divisa di mezza Europa, Marx e Mazzini, Puskin e Cernyshevskij, Lajos Kossuth e Louis Blanc. 
Discutono di cambiamenti, rivoluzione, socialismo, della Santa Madre Russia e dell’Occidente, di Shelling e Hegel. Ma nessuna lezione accademica, niente History Channel, né pedanteria. È un’avventura dove drammi personali e grande storia si rilanciano a vicenda, sentimenti e ragionamenti si mescolano. C’è chi ama, chi tradisce, chi combatte, chi fugge. C’è chi capisce che mettersi nei panni di un altro è una prova di umiltà , e ci vogliono secoli per impararlo. C’è chi scopre che, per avere una tirannide, non occorre un imperatore; chi spreca la vita a scrocco; chi non vuole anteporre le idee all’azione. C’è chi si oppone ai nuovi ordini monastici che scomunicano le persone perché godono del cibo, della musica, della pittura. Umanità , questo si succhia dalle pagine: l’umanità  dell’umano, che è irriducibile a uno schema, una teoria, una scienza. 
Si parla di arte, politica, giustizia, libertà , futuro. E niente appare astratto. Non si leggono teorie, si condividono emozioni. C’è un fervore contagioso nel racconto e nella prosa, a tratti molto ironica, e una piega di malinconia nell’ultima parte. C’è forza, e un po’ di disincanto. C’è anche la sconfitta, ma non la resa. È un architetto talmente bravo Stoppard, ha costruito una così robusta azione letteraria, che alla fine sparisce. Lo dimentichi. Ciò che leggi è l’unica realtà  a rimanere, l’unica concretezza. È evidente. Non solo è accaduto, ma accade ora, mentre tieni il volume in mano, e ti muovi con lui, e viaggi. Ovunque. C’è solo un luogo in cui questo libro non ti porta. Non ti porta in quel posto che non esiste e che si chiama Utopia: «Finché non smettiamo di uccidere per inseguirla, non cresceremo come esseri umani», dice Herzen. Il nostro senso di uomini è nei modi in cui viviamo, nel tempo che abitiamo, nel nostro mondo imperfetto. Solo qui può accadere l’attimo della felicità , non altrove.


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