I fondi sovrani valgono il 6% del Pil mondiale in Italia presenti in oltre un terzo delle quotate

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MILANO – Non sono certo la prima volta che compaiono sulla scena finanziaria. Sia in Italia così come nel resto d’Europa. Ma quello che sorprende è la crescita esponenziale di cui si sono resi protagonisti dall’inizio della crisi finanziaria. E che ha visto i fondi sovrani raddoppiare nel volgere degli ultimi cinque anni il loro peso complessivo: dal 2007 al 2011, il patrimonio gestito è passato da 2,3 a 4,6 miliardi di dollari, salendo dal 3 al 6% del Pil mondiale. Una ricchezza che per il 54% dei fondi a disposizione deriva dalla vendita di petrolio e gas.
Nel giorno in cui si rincorrono le indiscrezioni sulle mire del fondo del Qatar in Italia, per capire di più del fenomeno compare uno studio sul sito internet della Consob. Da cui si deduce, se mai ce ne fosse bisogno, il peso che hanno mai raggiunto nell’economia dominata dalla finanza.
E siccome la crisi in atto è anche una crisi di liquidità , si capisce perché vengano corteggiati più che osteggiati. E che in Italia – ma non solo – sono già  stati ben accolti. Secondo lo studio diffuso dalla Commissione per il controllo dei mercati e della Borsa, i fondi sovrani sono azionisti in oltre un terzo delle società  di Piazza Affari visto che «detengono partecipazioni azionarie nel 36% circa delle quotate in Italia e nel 25% di quelle del Regno Unito. Questo dato scende tra il 17% e il 19% per le società  tedesche e francesi». Queste partecipazioni nei mercati finanziari dei quattro paesi «raggiungono una soglia tra il 2% e il 3% della capitalizzazione di Borsa» in questi paesi.
Da sottolineare che si tratta di dati stimati al ribasso, visto che la Consob sottolinea come soltanto 11 dei 64 fondi sovrani esistenti «forniscono pubblicamente (in tutto o in parte) i dati di dettaglio sulle partecipazioni detenute in società  quotate».
Ma perché è stata proprio la crisi ha far emergere il ruolo dei fondi sovrani? Se prima del 2007, l’atteggiamento era molto prudenziale, con le somme disponibili per lo più parcheggiati in obbligazioni Usa, le opportunità  arrivate con la recessione e il rincaro di tutte le commodities ha aperto nuove strade: «A partire dal 2007 – si legge nel rapporto Consob – l’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio e di altre materie prime ha consentito di accrescere notevolmente le risorse destinate ai fondi sovrani e ha reso i fondi stessi più propensi a diversificare i propri portafogli e investire in strumenti azionari. Allo stesso tempo, la svalutazione del dollaro ha indotto i fondi a ridurre l’esposizione verso i titoli di stato Usa». In altre parole, con la crisi chi ha i soldi può permettersi di rischiare di più.


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