Part time, asilo e catering così l’ufficio condiviso diventa a misura di donna

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MILANO â€” L’appartamento è al primo piano di una palazzina anni Sessanta: 250 metri quadrati con un salone da 16 postazioni di lavoro; quattro salette con pareti mobili per riunioni; uno spazio relax con chaise longuee piante verdi; la cucina, naturalmente; e poi due aree per bambini divisi per età , con quella dei piccolissimi fino ai tre anni attrezzata come una nursery.
E poi l’ufficio che fornisce i “servizi salvatempo” che vanno dalla fila alla posta alla prenotazione di una visita medica, fino al pieno di benzina per la macchina. Via Simone d’Orsenigo, un angolo di Milano che tira verso la periferia: è questo l’indirizzo del lavoro del futuro. Il luogo dove, da settembre, partirà  un progetto ambizioso e rivoluzionario che legge la realtà , conclude che è superata, e inventa il modello del domani partendo da quello che in America, ad esempio, è diventato regola: il coworking.
Uno degli effetti della crisi è di costringere le aziende a tagliare i costi fissi e i tempi morti e questo modo di lavorare insieme vuole proporre un nuovo sistema: avere un luogo dove si crea una comunità  di persone, professionalità , servizi, che costino solo quel tanto che servono e diano vita a network virtuosi in grado di fornire a tutti di più a meno. Soprattutto, il
coworking, può essere un formidabile strumento per incrementare quello che gli studi — a cominciare da quelli della Banca d’Italia, che stimano come conseguenza l’aumento del Pil di un 7% — indicano come un fattore di sviluppo, e cioè il lavoro delle donne. Non è un caso se il progetto “Piano C” nasce dall’idea di una donna: manager di successo fin quando è diventata madre; costretta a fare i conti, poi, con la vecchia mentalità  che vuole vederti seduto alla scrivania e che misura la tua produttività  non sui risultati ma sul tempo che passi davanti al pc. «È il momento — aggiunge Carlo Mazzola, economista, socio nell’impresa — di sviluppare idee nuove per dare una mano al Paese».
Eppure, nonostante la knowledge economy, nelle imprese, l’organizzazione del lavoro è rimasta quella di cent’anni fa. Le persone continuano a uscire di casa tutte alla stessa ora per arrivare in ufficio e passarci un numero di ore svincolato dai compiti che devono svolgere. E questa rigidità  colpisce soprattutto le donne, costrette a impazzire per far quadrare vita professionale e quella familiare. «Noi — spiega Riccarda Zezza, che dopo aver girato il mondo per studiare i modelli propone il suo “Piano C” che sta per
Coworking, Cobaby, Community â€” vorremmo che la vita si riconciliasse con il lavoro e pensiamo che questo sia uno strumento per guardare avanti». Non è forse successo che in Francia una donna, Axelle Lemaire, abbia rinunciato a diventare ministro perché in questo mondo per le donne fare un lavoro impegnativo è ancora un sacrificio intollerabile?
Il “Piano C” è destinato ad avere come interlocutori professioniste e imprenditrici che decidano quanto e quale tempo dedicare a una professione. Donne, ma non solo: saranno ben accetti anche uomini che abbiano però dei figli di cui occuparsi perché uno dei
place del progetto è appunto lo spazio per i figli. Mentre mamme e papà  lavorano a ore, mentre un maggiordomo assolve ai compiti che in genere spettano alle mogli (bollette, tintoria, spesa, servizio catering, piccole riparazioni), i bambini sono accuditi nello stesso spazio da baby sitter. Il costo — a giorno, settimana o mese — copre tutti i servizi e garantisce la possibilità  di occupare lo spazio non in modo stabile, ma per quanto è necessario. Con un’ambizione che vuole trasformare il laboratorio — come scrivono Dario Banfi e Sergio Bologna nel loro Vita da freelance â€”, in un luogo che crea «la sinergia delle conoscenze e dei sistemi di relazione» e offre la possibilità  di «comunicare speranze a affanni». Una ricetta diversa per valorizzare la flessibilità  e un modo per vincere la sfida che pare impossibile della conciliazione. Oppure, come scrive Luisa Pogliani nel suo Le donne, il management, la differenza:
«Ripensare il lavoro e reinventare l’economia».


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