BENZINA, CARO FOSSILE

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I petrolieri segnano il nuovo prezzo; lo stato ringrazia e incamera la sua parte; ha guadagnato i suoi centesimi fumanti – tra accisa e Iva – senza colpo ferire. «Sapete tutti che il prezzo è libero, anzi deciso in concorrenza tra i vari operatori; e allora perché ve la prendete con me?», dice lo stato. Questo ragionamento, però, suona falso. 
Quelli delle piccole, delle utilitarie, sono convinti che l’aumento della benzina alla pompa sia un altro strappo alla coesione sociale di una volta. Per alcuni, pochi, il carburante più caro non dà  sul serio noia; è solo una piccola spesa in più che spesso essi sanno ricaricare su qualche attività  che lo stato o un loro cliente pagherà . Quel tale è in fondo il decimo personaggio, il tipo forte, della tragicommedia – «Nove su dieci» – che Mario Pianta ha abilmente sceneggiato. 
In appoggio al nuovo tetto sfondato, alla condizione di gran ricchezza raggiunta dalla nostra società  in grado di pagarsi il carburante quattromila lire al litro (o meglio di esprimere qualcuno che lo possa fare, Uno su dieci) , ecco due articoli, molto diversi tra loro, che accompagnano questa conquista: Christian Rocca sul Sole e Fabio Martini che sulla Stampa, in un retroscena politico economico, riferisce dei progetti governativi per l’autunno. Se cominciamo da Martini, egli ci racconta della promessa governativa per l’autunno di un secondo pacchetto, «nuovo piano energia, col varo di progetti estremamente ambiziosi». E poi si elencano almeno quattro rigassificatori, non localizzati, per ora, tali da consentire all’Italia di trasformarsi nell’Hub europeo del gas; e poi, ancora più importante, una produzione nazionale di petrolio tale da coprire il 20% del fabbisogno nazionale.
L’articolo di Rocca è in realtà  la presentazione di un inserto futuro del Sole che tratterà  del «fighettismo nazionale», qualsiasi cosa ciò significhi, anche se non siamo ansiosi di saperlo. In prima pagina inizia così: «Il petrolio non è finito, e nemmeno il gas. Anzi non ce n’è mai stato così tanto». In poche frasi ci viene spiegato trattarsi di una bufala, «una delle più grosse». E poi: «La notizia, semmai, è che abbiamo varcato la frontiera di una nuova Era, un’Era d’oro degli idrocarburi».
Negli Usa e altrove si fa effettivamente campagna su nuovi criteri estrattivi per gli idrocarburi che consentirebbero in una dorata previsione – ma a prezzo di devastazioni ambientali certe – di ridurre, negli anni, da due terzi alla metà  le importazioni americane di petrolio. Gli Usa hanno dimenticato in fretta il disastro del Golfo del Messico (Deepwater Horizon, 20 aprile 2010). 
Gli Stati uniti consentono di scavare lungo le coste atlantiche e favoriscono la tecnologia delle scisti e dello shale gas trovato in rocce e sabbie bituminose. Forse chiudono gli occhi per non vedere le conseguenze ecologiche, sullo spreco di acqua e sulla distruzione dell’ambiente.
Le scelte del nostro governo, riferite da Martini, sono una giusta e molte sbagliate. È sensato il Piano energetico che manca in Italia da troppi anni. La spasmodica ricerca di idrocarburi, in particolare di petrolio, è però un po’ fuori tempo massimo. 
Perché sacrificare territorio e mare per una serie di gassificatori, deleteri per la salute e il traffico navale? Davvero fare l’Hub (lo scalo) per il gas europeo è una missione raggiante? Non siamo un po’ più avanti, perfino noi? Non facciamo cose più importanti per le quali siamo (saremmo) davvero insostituibili? Ci siamo accorti che il nostro territorio è diverso, per esempio molto più abitato e urbanizzato di quello della Russia o di altri paesi fornitori? 
Quanto poi al petrolio che serve soltanto per i motori degli autoveicoli: sanno al nostro governo (la Fiat non lo sa ancora ma si potrebbe anche avvertirla) che l’auto elettrica è inarrestabile?


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