Suicidi in carcere, sono sempre più giovani

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Aveva meno di trent’anni. Ha deciso di farla finita, qualche giorno fa, impiccandosi alla grata del bagno con la cinta dell’accappatoio nel carcere di Belluno. Lui, giovane tunisino è l’ultimo detenuto che quest’anno si è ucciso in carcere. L’ultimo di un elenco che da gennaio al 6 ottobre conta 44 persone. A raccontare la sua storia è stata l’associazione Ristretti Orizzonti che cura e aggiorna costantemente il dossier «morire di carcere».
A leggerlo poi nel dettaglio si capisce che i numeri forniti sono quasi da bollettino di guerra. Negli ultimi 12 anni, ossia dal 2000 al 2012 nelle carceri d’Italia sono morte 2056 persone, 756 delle quali per suicidio. Numeri importanti che si ripetono più o meno di anno in anno. E che riguardano persone, uomini e donne. Dall’inizio del 2012 al 6 ottobre, si sono registrati 44 suicidi su un numero complessivo di 123 morti. E sempre secondo quanto spiegano i volontari nel dossier, anche l’età  di chi muore in carcere nel corso degli anni si è abbassata. Se nel 2000 l’età  media di chi moriva dietro le sbarre era di 45 anni ora è di 38 anni. Una situazione che i rappresentanti delle associazioni impegnate quotidianamente nel mondo carcerario definiscono «preoccupante». Soprattutto perché all’interno delle carceri si continuano a fare i conti con il sovraffollamento. Che non vuole dire solo far stare stretti i detenuti.
«Il sovraffollamento si ripercuote su tutto quello che riguarda la vita del carcere spiega Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti -, dal lavoro all’assistenza sanitaria, continuando con la scuola». Basti un esempio. «Oggi capita che in una sezione dove ci stavano 25 persone che ce ne siano 75 spiega è chiaro che tutte queste persone si riversano in un sistema sanitario rimasto uguale al passato con le stesse risorse economiche e umane del passato». Senza dimenticare poi gli spazi. «Molto spesso in celle che hanno dimensioni tre metri per tre aggiunge devono convivere tre persone che assieme a tutti gli altri devono stare negli stessi passeggi e utilizzare le stesse docce».
Risultato? «C’è gente che passa il suo tempo a non far niente spiega -. I suicidi nascono in una situazione in assenza di futuro. C’è disperazione e soprattutto c’è l’assenza di prospettive». Situazione diffusa in tutta Italia come si legge ancora nel dossier e conferma anche Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Per commentare i dati del dossier l’esponente di Antigone non usa giri di parole: «Diciamo che sono numeri tragici commenta già  un morto basta per indignarsi». Poi il rappresentante dell’associazione che si occupa di diritti dei detenuti aggiunge: «Dopo le parole del presidente Napolitano non è successo niente forse dobbiamo aspettare tempi migliori». Fa una premessa Riccardo Arena, conduttore di Radiocarcere (martedì e giovedì) su Radio Radicale. «E’ evidente che non bisogna generalizzare spiega -.
Infatti ogni suicidio, ogni decesso per malattia deve essere analizzato singolarmente. Ma è altrettanto evidente che, di fronte a queste cifre, si può tranquillamente affermare come in Italia, pur non essendoci la pena di morte, per una pena si può morire». Quanto ai suicidi spiega che «nelle carceri sono, molto spesso, la conseguenza dell’abbandono di singole persone. Persone inascoltate, non seguite adeguatamente che poi una notte si impiccano in bagno. Non suicidi quindi. Ma persone suicidate da un sistema carcerario che non è in grado di gestire problematiche differenti». Sul versante malattie invece spiega che «Ci troviamo spesso dinanzi alla negazione del diritto alla salute. Molte delle persone detenute morte in carcere sono decedute perché non curate». Soluzioni? «Occorre intervenire su più fronti, riformando il sistema delle pene e il processo penale. Riforma che spetterebbe al Parlamento. Ma chi in questo parlamento ha interesse a un processo che termina in un anno anziché in 8, 9 e anche 10 anni? ».


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