IL CONFRONTO ALL’AMERICANA

Loading

Dopo tante americanate trash e provinciali di musichette, ragazze pon pon, spot, un buon esempio made in Usa è stato imitato. Per chi, come me, ha vissuto questo classico della democrazia dozzine di volte negli Stati Uniti, poter vedere in Italia questo remake ha fatto uno strano, ma piacevole effetto di novità  e di déjà  vu insieme.
Aparte la cafonata polemica dell’enorme scritta Rai sui podi, anche le parole introduttive della brava Monica Maggioni, i tempi, le domande, i battibecchi, sono stati riprodotti e rispettati puntigliosamente, sapendo che lo stile fa sostanza.
Naturalmente mai un candidato americano avrebbe osato presentarsi in maniche di camicia come ha fatto Matteo Renzi, con un tocco di gigioneria che il pubblico Usa non avrebbe accettato. E gli applausi, nei dibattiti futuri, andrebbero banditi, per non sprofondare nella fossa delle claque. Ma ciascuno aveva le proprie battutine predisposte dai ghost writer: «In Italia non siamo qui a suonare i mandolini, ma a lavorare» di Bersani, «il debito va ridotto perché me lo dice la coscienza, mi’a la Merkel» di Renzi.
Il segreto di questi confronti è riuscire a stabilire un rapporto con chi ascolta, a creare una narrazione che ogni telespettatore avverta come diretta a sé. Si scelgono persone, non manifesti. Per questo sono gli sguardi e le smorfie, i gesti inconsci e il body language, i segnali politici che il pubblico assorbe spesso inconsciamente. Lo avrebbe potuto spiegare bene Barac Obama che per avere sbagliato il proprio atteggiamento nel primo scontro con Mitt Romney rischiò il trono.
Renzi, dei due, era il più ostentatamente americano, quello che con più naturalezza applicava le tecniche messe a punto in mezzo secolo di dibattiti negli Usa. Per eccesso di apparente sicurezza era semmai troppo brillante e garrulo, ai miei occhi velati da decenni di diffidenza per i Reagan e Clinton, per Obama e i Bush, per i Kerry e McCain, e per le formule predisposte dagli spinner, gli autori delle battute su Emilio Fede e la Santanchè, fin troppo facili.
Era una disinvoltura naturale per un giovane della “tv generation”, nato quando ormai la televisione italiana aveva vent’anni, svezzato a telequiz, consigli per gli acquisti, varietà , spot. Tanto giovane da essersi lasciato sfuggire quell’allusione a «un Gianburrasca qualsiasi», timoroso di apparirci più discolo che statista. Ma tanto era chiaro che Renzi era figlio del teleschermo, quanto era evidente che il suo rivale, Bersani, era figlio di un altro tempo, migliore o peggiore che fosse. Il segretario del Pd ha più anni della tv italiana, è nato prima di Lascia o Raddoppia? e di Carosello. Il suo è l’universo serio della sezione, delle serate noiose concluse da Bersani il “bravo compagno”. Ma i tempi del dibattito in sezione non sono i tempi della televisione, quelli che a Clinton venivano spontanei e al suo avversario George Bush il vecchio erano estranei e irritanti, segnalati dai suoi sguardi impazienti all’orologio che lo distrussero in un dibattito.
Chi ha lunga esperienza di questi show sa che non sempre il più telegenico vince. Renzi ha provato la parte del “Little Kennedy”, Bersani quella dello statista anziano contro il Gianburrasca. Questa potrebbe essere l’ultima volta in cui la forza della Sezione riesce a sconfiggere la forza del teleschermo o, in futuro, della Rete e rarissimamente i dibattiti spostano i risultati. Ma ieri sera ho visto sulla televisione italiana un pezzetto dell’America politica migliore, che non potrà  più essere ignorato. Mezzo secolo troppo tardi, ma l’ho visto.


Related Articles

Napolitano tira le orecchie ai partigiani «Niente esclusioni». E Polverini si invita

Loading

«È una grande forza della democrazia promuovere occasioni di unità  tra tutte le forze politiche e sociali che si riconoscono in fondamentali valori comuni»

Non va bene un proconsole in bankitalia

Loading

Il “forcing” di Giulio Tremonti sulla nomina del governatore della Banca d’Italia va osservato con molta attenzione. Avviene negli stessi giorni e quasi nelle stesse ore nelle quali si discute la sua manovra finanziaria alla luce delle richieste sempre più perentorie che gli vengono fatte da Berlusconi e da Bossi. Si direbbe che la nomina di Grilli al posto che ancora per poche settimane sarà  occupato da Mario Draghi possa essere il prezzo di concessioni sulla manovra, nel senso di renderla più mite e di concedere qualche compenso alle famiglie e alle imprese secondo i desideri del governo e della Lega.

De Magistris deve aspettare

Loading

Napoli. La città maglia nera della partecipazione. L’affluenza super appena il 54%. Al sindaco manca qualche decina di migliaia di consensi per la vittoria al primo turno

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment