«Leali sì, non fessi» Perché il Pd si oppone a posticipare il voto

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Perciò il segretario del Partito democratico ha chiesto al presidente della Repubblica di «richiamare il Pdl al senso di responsabilità ». Altrimenti, tanto vale chiudere la legislatura un secondo dopo aver approvato la legge di Stabilità . Il capo dello Stato ha obiettato che ci sono ancora provvedimenti da mandare in porto, oltre alla legge di Stabilità . E che si è «comunque aperto uno spiraglio per la legge elettorale». Ma il leader del Pd è stato fermo: «La legge di Stabilità  è un conto, però non si può pensare di varare altri provvedimenti con un governo sostenuto soltanto da noi e dall’Udc. Quanto alla legge elettorale, io non mi fido del Pdl: non c’è un solo interlocutore credibile in quel partito».
Di fronte a un’ulteriore ipotesi di slittamento delle elezioni politiche dal 10 al 17 marzo, i vertici del Partito democratico hanno opposto la loro contrarietà . E Bersani ha spiegato: «Non lo facciamo per calcoli di bottega, ma secondo noi non conviene neanche a Monti restare sulla graticola per troppo tempo, perché così rischia di bruciarsi. Tanto meno giova al Paese». E dopo l’incontro al Quirinale, il segretario, parlando con i suoi è stato ancora più esplicito: «Berlusconi è entrato in campagna elettorale e da ora alle elezioni contrasterà  la politica del governo, non possiamo essere gli unici a pagare il prezzo dell’impopolarità  delle misure da varare».
Insomma, non si può andare avanti con il Pdl «che ha mano libera e può fare quello che vuole mentre noi ci limitiamo a fare i soldatini». Per carità , questo non è un atteggiamento di sfiducia nei confronti di Monti: «Noi siamo leali e responsabili e da questo punto di vista il nostro atteggiamento non cambierà , anche perché siamo convinti che l’esperienza di Monti non possa essere archiviata, però c’è un limite a tutto». Ma l’atteggiamento imperturbabile di Monti non piace al Partito democratico. Il premier manda a dire: «Io sono stato chiamato per fare questo lavoro, non ho chiesto niente a nessuno, toccherà  a Napolitano valutare la situazione». Il che significa: le richieste dei partiti non mi toccano. Già , ma quelle del Pdl toccano il Pd, eccome se lo toccano.
Nel frattempo Berlusconi va avanti come un treno, benché stia perdendo pezzi e consensi. Compulsa i sondaggi, che non sono entusiasmanti e che però danno in calo anche il centro. «Quelli imploderanno», dice ai suoi tutto soddisfatto e ancora indispettito perché Casini non ha aperto neanche uno spiraglio. L’ex presidente del Consiglio è convinto che i voti del centrodestra «non andranno mai all’Udc»: è più probabile che i delusi scelgano l’astensionismo. E, comunque, spiega ai compagni di partito: «Se ci muoviamo ora, contrastando Monti senza però arrivare alla rottura e alla sfiducia, riusciamo a intercettare l’insofferenza che c’è nel Paese e nella maggior parte del nostro elettorato. Altrimenti il rischio è che quelli che erano i nostri consensi vadano a Grillo».
Ma Berlusconi sa anche che le cancellerie di mezzo mondo sono in attesa di capire che cosa succederà  in Italia e non vuole passare per «irresponsabile e sfascista». Per questa ragione non sfiducerà  il governo Monti: «Non c’è bisogno di arrivare a tanto perché so bene che in questo caso mi sparerebbero tutti contro, accusandomi di ogni nefandezza: stanno solo aspettando di potermi cogliere in fallo. Ma noi non puntiamo alla chiusura traumatica di questa legislatura: nessuno ci potrà  accollare questa colpa. Però è chiaro che l’esperienza del governo Monti, di fatto, si è chiusa. Bisogna che tutti prendano atto che si è concluso un ciclo». E se ne avvia un altro, secondo Berlusconi, che vede il Pdl pronto a riaprire il dialogo con la Lega. Non a caso, l’altro ieri, l’ex presidente del Consiglio ha confidato le sue intenzioni «bellicose» a Roberto Maroni, prima di renderle pubbliche.


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Forse il dialogo sta cominciando: quello tra Matteo Renzi e Enrico Letta. O forse il segretario del Pd e il presidente del Consiglio hanno capito che debbono almeno apparire dialoganti, perché mostrare una maggioranza governativa e un partito in eterno conflitto rischia di logorare entrambi.

E la Lega pensa allo strappo

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La disfatta berlusconiana nelle urne è un uragano destinato ovviamente in primis a rovesciarsi sul destino politico del capo del governo, ma anche a scardinare il sistema politico degli ultimi quindici anni. Uno sconvolgimento in cui nulla resterà  come prima: partiti, alleanze, leader, sistemi elettorali, aggregazioni, schieramenti. Primo fra tutti il centrodestra così come lo abbiamo conosciuto, alla vigilia di un divorzio tra il Pdl e la Lega che potrebbe addirittura preannunciare lo sfaldamento dell’impalcatura bipolare che ha retto l’intera vicenda della Seconda Repubblica.

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