Lombardia, gruppi moltiplicati per evitare le firme

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MILANO — Oggi ci sarà  il debutto ufficiale. Il fenomeno si è verificato tra Natale e Capodanno. Un virus si è diffuso all’interno del Consiglio regionale della Lombardia. Improvvisamente, dopo anni di calma piatta e a poche settimane dalle elezioni, alcuni consiglieri del parlamentino lombardo hanno contratto la sindrome da spacchettamento. Cioè hanno sentito l’esigenza impellente e improcrastinabile di farsi un gruppo autonomo, distaccandosi dalla delegazione del partito. Così all’Ufficio di presidenza della Regione sono arrivate una dietro l’altra cinque richieste per formare nuovi gruppi politici. È quello che in gergo viene chiamato, appunto, spacchettamento, spesso accompagnato e nobilitato da nuovi obiettivi. In termini più terra terra sembra, però, una classica gabola, per evitare la difficoltosa raccolta di firme necessaria a presentarsi alle elezioni. Uno stratagemma che, oltretutto, costerà  altri soldi ai contribuenti.
Sono arrivate due richieste da consiglieri provenienti dal Pdl. È nato così il gruppo di area formigoniana «Lombardia Popolare» con Doriano Riparbelli, Angelo Gianmario, indagato per peculato (con i soldi pubblici avrebbe speso tra l’altro, 114 mila euro in taxi e noleggi auto e offerto «ai bagnanti in Liguria» 90 euro in gelati), e Marcello Raimondi, anch’egli indagato (avrebbe usato i fondi regionali per le ricariche telefoniche di utenze intestate a moglie e figlia). I tre appoggeranno la candidatura di Gabriele Albertini.
La seconda scissione ha generato il gruppo «Centrodestra Nazionale» con Roberto Alboni, Romano La Russa e Carlo Maccari, tutti ex An. Due anche gli spacchettamenti dalla Lega Nord: «Tremonti – 3L Lista, Lavoro e Libertà » promossa da Massimiliano Romeo, Jari Colla e Roberto Pedretti. Il gruppo «Popolo della Lombardia» è stato, invece, formato dai leghisti Angelo Ciocca, Ugo Parolo (entrambi sotto inchiesta per i presunti rimborsi illeciti regionali) e dal plurindagato ex presidente del Consiglio lombardo, Davide Boni. Il quinto gruppo neocostituito è stato battezzato «Centro Popolare Lombardo — I moderati» con i transfughi dell’Udc Enrico Marcora e Valerio Bettoni e l’idv Franco Spada, entrato in Consiglio regionale solo due mesi fa. Appoggeranno il candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli.
Insomma, a Consiglio regionale già  sciolto i gruppi consiliari da otto sono passati a 13 in una manciata di giorni. Il virus colpisce i consiglieri a tre a tre, non di più. Guarda caso è proprio tre il numero minimo legale richiesto.
Le fuoriuscite vengono dipinte dai protagonisti come scelte coraggiose nell’interesse dei cittadini. La sostanza, però, sembra essere quella di evitare la raccolta di firme. Se la lista è, infatti, già  rappresentata in Consiglio è esonerata. L’iter che qualunque cittadino o comitato deve seguire — cioè raccogliere da 750 a 2.000 firme a seconda della densità  degli abitanti (cifre dimezzate se la legislatura è interrotta) — è dunque dribblato dai consiglieri regionali già  in carica.
Ma è tutto legale. Dopo 17 anni di governo di Roberto Formigoni e in deroga a una norma di 44 anni, il giorno dello scioglimento del Consiglio regionale, il 26 ottobre, è stato introdotto un comma della nuova legge elettorale lombarda che recita: «Sono esonerate dalla sottoscrizione degli elettori le liste espressione di forze politiche corrispondenti ai gruppi (…) presenti nel Consiglio regionale della Lombardia». E, in questi giorni, il comma ha trovato applicazione.
È evidente la scorciatoia rispetto alla fatica e ai rischi di una raccolta firme. Ne sa qualcosa Formigoni con la vicenda delle 926 firme false, senza le quali le sue liste nel 2010 non avrebbero potuto presentarsi e raccogliere 2 milioni e 700 mila voti.
Nella nascita di nuovi gruppi c’è anche una buona dose di marketing elettorale. Le due liste della Lega, per esempio, non sembrano rappresentare una scissione: sono piuttosto d’appoggio per allargare la rete che dovrà  catturare voti.
La gabola costa. I cinque nuovi gruppi rischiano di gravare sulle casse pubbliche per una cifra che può arrivare a 100 mila euro. L’indennità  di un capogruppo rispetto a un semplice consigliere regionale è superiore: l’aumento di stipendio può toccare i 1.300 euro al mese. E per il funzionamento dei gruppi è previsto uno stanziamento che, per i tre mesi che ci separano dall’inizio della nuova legislatura, supera i 70 mila euro.
Mario Gerevini


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