Furti, cimici, pedinamenti l’intelligence clandestina che bracca i pm di Palermo

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PALERMO – Chi spia i magistrati di Palermo? Chi ascolta o segue i pubblici ministeri che indagano sulla trattativa Stato-mafia? C’è un’intelligence clandestina che fra la Sicilia e Roma controlla ogni loro movimento, piazza microspie, sorveglia i loro amici e gli investigatori che lavorano all’inchiesta.
Sono diventati dei vigilati speciali i sostituti procuratori che stanno chiudendo l’indagine sul patto all’ombra delle stragi. Troppi episodi inquietanti sono accaduti negli ultimi mesi. Alcuni finiti alla Procura di Caltanissetta che sta investigando sulle spie che «tengono d’occhio» i colleghi palermitani, altri sono ancora in fase di accertamento. Di sicuro c’è che qualcuno non perde di vista i movimenti dei pm del pool trattativa. «È un’agenzia forse pubblica, ma che controlla per conto di altri», ha denunciato ieri l’altro Antonio Ingroia senza addentrarsi nei particolari. Repubblica oggi è entrata in possesso di nuove informazioni: dopo l’articolo di venerdì scorso che raccontava di pedinamenti e contropedinamenti nelle vie intorno al Tribunale di Palermo, di computer manomessi, di chiamate su utenze riservate in arrivo da schede internazionali, emergono altre «attività », scorribande sbirresche su mandato di personaggi ignoti o comunque non ancora del tutto identificati.
Il primo episodio riguarda proprio Ingroia. Siamo nei giorni in cui la Procura di Palermo deposita le carte dell’inchiesta sulla trattativa, e fra queste tutte le telefonate intercettate fra l’ex ministro Nicola Mancino e il consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio. Nell’inchiesta dei pm ci sono anche le telefonate fra Mancino e il Capo dello Stato, che hanno scatenato il pandemonio in Italia. È l’inizio dell’estate. E un giorno, l’allora procuratore Antonio Ingroia vola da Palermo a Roma per incontrare alcuni amici. Uno di loro è Orazio Licandro, professore di diritto romano, un ex deputato del Partito comunista d’Italia che quando era in Parlamento era in commissione antimafia. I due prendono un caffè in un bar del centro, si salutano, poi Ingroia vede altre persone e Licandro entra in un albergo a piazza Colonna. Si registra, posa le valigie, esce per cena. Due ore dopo fa ritorno in albergo. Trova la camera sottosopra, perquisita. Qualcuno gli ha rubato il pc, l’iPad e le pen drive. Fa denuncia. Ci sono le telecamere interne. Si vede un uomo che entra nella camera – senza scardinare la porta – e pochi minuti dopo esce con qualcosa in mano. Il «ladro» è ben visibile, qualcuno assicura che stanno per scoprire chi è. Chi indaga sospetta che il «ladro» – che aveva seguito Licandro dal momento in cui si trovava con il procuratore Ingroia – cercasse «materiale molto scottante» sulla trattativa.
Qualche mese prima il pm Lia Sava aveva trovato il modem nel suo ufficio danneggiato, due fili di alimentazione tagliati e risistemati, come se avessero attaccato lì una cimice. Qualche mese prima, la stanza della Sava era occupata da Ingroia. Parte la denuncia. Appena qualche giorno dopo in un corridoio del Tribunale viene notato – c’è una relazione di servizio della Dia – un carabiniere che «s’intrattiene per alcuni minuti» con una giovane, la donna delle pulizie che ogni mattina ha il compito di spolverare alcune stanze della Procura. La donna è sott’indagine, il carabiniere è uno di quelli che a ogni udienza del processo per la mancata cattura di Provenzano – imputato il generale Mori – è in aula insieme ad alcuni colleghi e a tre o quattro agenti dei Servizi, che fin dall’inizio del dibattimento non si sono mai persi nemmeno una battuta del processo.
Come quell’altro carabiniere che quattro giorni fa – all’udienza per la trattativa – prendeva appunti. Il giudice Morosini se n’è accorto, gli ha chiesto perché, lui ha risposto che «è appassionato dell’argomento». Il gup ha insistito. A quel punto, il carabiniere è svenuto in aula.
Un’altra vicenda corre sui fili del telefono. È intercettato il colonnello Giuseppe De Donno, uno degli indagati della trattativa: ufficialmente, è fuori dai ranghi del Ros e da quelli del servizio segreto civile. È solo il manager di un’agenzia di sicurezza che lavora in tutto il mondo, in Italia anche per Finmeccanica. De Donno parla con uno dei carabinieri del Ros (uno dei tanti che lavorano contemporaneamente anche con l’agenzia del colonnello) e dalla loro conversazione si intuisce che i due conoscono perfettamente i movimenti dei pm di Palermo. Perché controllano le loro mosse? Perché carabinieri del Ros sono in contatto con ex ufficiali formalmente «a riposo»? Perché stanno spiando i magistrati della trattativa Stato-mafia?


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