Cyber-attacco all’economia americana

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NEW YORK — La nuova guerra fredda è cominciata. Non c’è stata una Pearl Harbor, ma gli attacchi contro l’America sono insidiosi e sempre più frequenti. Il terreno dello scontro è il cyberspazio. E’ la Cina l’aggressore più temibile. Questo allarme è contenuto in un rapporto congiunto di tutte le agenzie di intelligence Usa. Il National Intelligence Estimate avverte che gli Stati Uniti sono il bersaglio di una «campagna massiccia, sostenuta ». Oltre ai tradizionali obiettivi di spionaggio militare, l’aggressione cinese «minaccia la competitività  economica» degli Stati Uniti, puntando al furto di segreti tecnologici e industriali. Il rapporto dei servizi Usa – anticipato dal
Washington Post – elenca una lunga serie di settori che sono stati costantemente nel mirino degli hacker cinesi negli ultimi anni: «Energia, finanza, informatica, aerospaziale, automobili». Altre fonti arrivano a quantificare un danno economico fino a 100 miliardi di dollari l’anno per il furto di segreti ad opera del cyber- spionaggio.
Si tratta di un nuovo salto di qualità  negli attacchi degli hacker cinesi: un tempo venivano considerati come un pericolo soprattutto dal Pentagono e dall’industria bellica. Negli ultimi anni il raggio d’azione del cyber-spionaggio si è allargato nei settori civili. E’ la ragione per cui l’Amministrazione Obama vuole mettere a punto una contro-strategia a tutto campo, che faccia ricorso a diverse opzioni. Sul piano politico, la Casa Bianca sta pensando di intensificare le proteste diplomatiche, aggiungendovi restrizioni ai visti d’ingresso, e ricorsi al tribunale della World Trade Organization (Wto), l’organizzazione mondiale del commercio. Il ricorso al Wto era stato evocato di recente anche da parte dell’editore del New York Times dopo i ripetuti black-out imposti dalle autorità  cinesi al suo sito.
La Repubblica Popolare non è l’unica nazione citata nel National Intelligence Estimate. Vi figurano anche Russia, Israele e Francia tra i protagonisti di spionaggio industriale. Il loro peso è molto meno rilevante, le incursioni degli hacker cinesi sono di gran lunga le più frequenti, estese e dannose. Nella pericolosità  della cyber-guerra cinese interviene un fattore aggiuntivo: l’uso della diaspora come “cavallo di Troia” nelle società  americane. Questo ruolo dell’emigrazione viene citato da un rapporto dell’Office of the National Counterintelligence Executive, dove vengono denunciati i casi frequenti di cittadini cinesi oppure (più raramente) cinesi-americani, contattati dai servizi segreti di Pechino e ingaggiati come “talpe” per sottrarre segreti all’industria americana. Una delle zone a rischio in questo senso è la Silicon Valley californiana che ha un insediamento storico e molto vasto d’immigrati cinesi.
Gli episodi più recenti di cyber-spionaggio da parte degli hacker cinesi hanno preso di mira i media: il New York Times uscì allo scoperto il mese scorso denunciando la violazione delle e-mail dei suoi giornalisti, presto seguito da Wall Street Journal, Washington Post, Bloomberg, Reuters.
In questo caso è spionaggio politico più che furto di segreti industriali. Nell’industria bellica uno degli attacchi più seri ha avuto come bersaglio la Lockheed. L’offensiva che segnò l’inizio di una nuova era avvenne nel gennaio 2010 quando Google denunciò intrusioni sistematiche sulle sue reti. Gli hacker s’impadronirono di diversi codici Google e li usarono fra l’altro per spiare le e-mail di alcuni dissidenti.


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