I lavoratori Foxconn tornano a suicidarsi

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PECHINO. Tre nuovi suicidi nelle scorse settimane nelle fabbriche Foxconn, a Zhengzhou, Cina centrale. Non è una novità , dato che nel 2010 erano stati almeno dodici i suicidi accertati di dipendenti dell’azienda taiwanese, che in Cina impiega circa un milione e 100 mila persone. Si tratta di un binomio, suicidio-Foxconn, che aveva posto all’attenzione del mondo i metodi dell’azienda, specializzata nella produzione dei noti iPhone e iPad, tra gli altri. L’azienda di Taiwan, da quel momento è stata al centro di un’attenzione speciale da parte dei media e delle autorità  cinesi, che ha finito per portare la stessa Apple a chiedere un’ispezione all’interno delle fabbriche della Foxconn: oltre ai suicidi infatti nelle fabbriche cinesi dell’azienda si erano registrate denunce di lavoro minorile, proteste per migliori condizioni di sicurezza, di vita e di salario. Nel corso degli anni le rivolte e l’attenzione mediatica mondiale hanno portato i lavoratori della Foxconn ad aumenti salariali.
La notizia dei suicidi nel consueto silenzio stampa dell’azienda taiwanese è stato dato dalla ong di New York China Labor Watch, già  protagonista di numerose denunce contro i fornitori Apple in Cina. Il 24 aprile scorso a suicidarsi sarebbe stato un giovane di 24 anni, impiegato dalla fabbrica solo da due giorni: si è buttato giù dalla finestra del dormitorio (quartieri abitativi adottati da molte aziende). Il 27 aprile sarebbe stata la volta di una donna di 23 anni; anche lei si sarebbe gettata nel vuoto da uno stabilimento dell’azienda. Infine, il terzo suicidio il 14 maggio: identiche le modalità . La vittima, 30 anni, era stata assunta da appena due settimane. «Le ragioni dei suicidi, scrivono gli attivisti del China Labor Watch, non sono chiare, ma potrebbero essere in relazione alla nuova modalità  del “silenzio” imposta a Zhengzhou, pratica con la quale i lavoratori sono minacciati di licenziamento nel caso parlino durante i turni di lavoro». Si tratta di supposizioni non confermate, ma che rendono l’idea del clima militare che molti lavoratori, nel corso della storia della Foxconn, hanno denunciato.
Forse proprio per evitare le problematiche della forza lavoro e le sempre più numerose proteste dei dipendenti, l’azienda aveva annunciato oltre un anno fa una massiccia robotizzazione nelle proprie fabbriche. E qualche mese fa, attraverso fonti non confermate, aveva fatto scrivere al Financial Times di imminenti elezioni libere per sindacati interni.
La Foxconn inoltre è finita spesso sotto i riflettori perché è un’azienda straniera, di Taiwan. Rispetto agli stranieri, lo stesso governo cinese tiene spesso un atteggiamento molto severo, sottolineando la necessità  di garantire sicurezza, salario adeguato e non impiegare lavoro minorile. Lo stesso atteggiamento non viene spesso tenuto nei confronti di molte altre aziende cinesi. Non sono infatti pochi quegli studiosi, ricercatori o lavoratori che in Cina sottolineano come ormai gli standard della Foxconn – specie in confronto alle fabbriche cinesi, più difficili da raggiungere per indagini e denunce e a seguito di tutti gli scandali – siano ormai da considerarsi piuttosto alti per il mondo della produzione cinese, considerato da trent’anni a questa parte un buco nero dei diritti dei lavoratori.


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