Si può ingabbiare un mito della libertà?

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E quale può essere in generale la miglior condotta verso una grande anima che se ne sta andando? «Morire, dormire; dormire… forse sognare» dice Amleto, andando più vicino di chiunque altro al senso della vita e della morte; o meglio della morte vista dalla vita. Spesso per i grandi capi politici che se ne andavano si è fatto di tutto per tenerli in vita il più a lungo possibile; per calcolo politico, per prudenza, per aver tempo di preparare il nuovo nella continuità. È discutibile che ciò abbia senso anche in questi casi, ma se ne intravede almeno una ragion d’essere. Nel caso di Mandela, la situazione sembra diversa e tutta giocata sulla sua nobiltà d’animo in vita e sul suo inesausto anelito di libertà. Forse quindi non è il caso di procedere oltre a tenere in gabbia un leone che in gabbia non ci è voluto mai stare. Né ha tollerato che ci stessero altri. È sempre difficile confrontarsi con la morte, soprattutto quando i sentimenti fanno ressa nell’animo. Né la medicina è onnipotente. Ma proprio perché in questo caso non sta a noi prendere decisioni, possiamo guardare in faccia la questione ed essere «gratuitamente» filosofi. È umano che chi lo ama lo voglia ancora per sé, anche se della vita non gli sarà probabilmente rimasto che qualche barlume, qualche residua visione della sua grande coscienza. Forse è sulla sua coscienza che dobbiamo interrogarci, più che sul suo corpo, anche se non c’è niente di più insondabile della coscienza di un altro. Questa coscienza ha visto tante, tantissime cose, belle e brutte, ha ricevuto un numero enorme di manifestazioni di devozione e di affetto. Forse ne vuole ancora; forse basta così; forse è il caso di lasciarlo andare a un altro, diverso, sogno. O forse allo stesso, congelato per sempre.


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