Guerra alle multinazionali sul fisco piano in 15 punti contro l’elusione

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MOSCA — In tempi di vacche magre, quando la ripresa «è troppo fragile», la crescita «troppo debole», la disoccupazione «troppo alta» e «l’Eurozona resta in recessione», secondo la sintesi di Christine Lagarde, numero uno del Fmi, bisogna che non vada perduto nemmeno un euro. A maggior ragione se questi denari sono tasse non pagate o eluse. E ancor più se a farla franca sono le grandi multinazionali. Per questo le autorità monetarie del G20, riunite a Mosca, danno il loro ok ad un piano Ocse in 15 punti che dovrebbe costringere queste società a pagare le tasse dove vengono realizzati i profitti, senza più approfittare di trucchi contabili, scappatoie legali o paradisi off shore. Oggi, in Italia, c’è il caso Google. Ma eventi analoghi si registrano in ogni Paese, ciascuno assai bisognoso — e oggi più che mai — di entrate fiscali.
Perché il meccanismo funzioni, perché questo fiume di miliardi non sfugga più di mano, è basilare lo scambio automatico di informazioni tra i diversi governi; centrale è l’armonizzazione delle varie normative. L’Ocse infatti dovrà suggerire la definizione di “standard internazionali” che mirino proprio a rendere omogenee le diverse legislazioni. Al dunque si vuole costringere i colossi multinazionali a dichiarare quello che fatturano Paese per Paese, impedendo che i profitti siano «artificiosamente trasferiti dove il fisco è più conveniente», come si legge nel comunicato finale del summit. La speranza è che il pacchetto di misure, sviscerato a lungo nel week-end moscovita dai ministri che lo definiscono «ambizioso» e «completo», sia approvato dai capi di Stato e di governo già nel G20 di San Pietroburgo, a settembre. Se così sarà, nel giro di due anni, il tempo minimo per realizzarlo appieno, il progetto potrebbe segnare — sono parole del suo ideatore, il segretario Ocse Angel Gurria — «un punto di svolta nella storia della cooperazione fiscale internazionale».
Un piano d’azione elaborato all’insegna della «trasparenza» e dell’«equità» fiscale. Gurria lo illustra a grandi linee in una conferenza stampa congiunta con i rappresentanti di Francia, Germania, Gran Bretagna e Russia.
Ma il consenso dei big è unanime, almeno a parole, sebbene i ministri stiano pensando anche di assegnare un punteggio — da 1 a 4 e dunque di immediata percezione — a ciascun Paese, a seconda del suo livello di collaborazione in materia. Anche il ministro italiano Fabrizio Saccomanni dice basta a tutte queste scappatoie contabili che, alla fine, «danno luogo a nessuna tassazione ». Per la cronaca: proprio ieri ha riaperto il dialogo con le autorità svizzere, in stallo dopo la fine del governo Monti, incontrando a margine del summit la consigliera Widmer-Schlumpf per cercare una intesa su come regolarizzare i fondi che i cittadini italiani tengono nelle banche elvetiche. Un altro bilaterale è previsto entro l’anno.
La lotta all’evasione, ma non solo. Nel loro comunicato i Grandi ribadiscono che la crescita e il lavoro sono oggi «la priorità». Preoccupati che troppa austerity, alla lunga, faccia più male che bene, si impegnano a proseguire nel risanamento dei conti ma «tenendo conto delle prospettive di crescita» di ciascun Paese, oggi «disuguali». Il presidente della Bce, Mario Draghi, intravede per Eurolandia una ripresa «nel corso dell’anno », pur se «moderata e con rischi al ribasso». In una lettera ad un europarlamentare assicura che i tassi saranno a lungo «ai livelli attuali o anche inferiori».


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